È una questione di priorità: cosa viene prima, cosa importa di più?
Le cause o gli effetti?
Capita spesso di identificare la nostra vita con gli effetti che viviamo: sto bene se vivo cose belle, sto male se vivo cose brutte.
Eppure il Buddismo dice che la cosa più importante sta nel mettere cause piuttosto che nel concentrarsi sugli effetti. Il Buddismo, cioè, identifica la vita nell'elemento dinamico, in quella cosina misteriosa e bellissima che distingue una cosa ferma da una cosa in movimento. La vita, intesa in questo modo, è proprio quel guizzo, è la possibilità di "trasformare" in ogni istante le cose che ci accadono.
Penso alla teoria buddista dei dieci mondi.
Cosa viene prima, cosa importa di più?
I dieci mondi o il mutuo possesso dei dieci mondi?
Noi, cominciando a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin, impariamo presto a riconoscere quando, nella nostra giornata, stiamo vivendo il mondo d'Inferno, o quello di Avidità, il mondo di Animalità, o quello di Collera e via dicendo. Ma la cosa più importante non è "sapere" in che mondo ci troviamo. È servirsi di quel sapere per usare la vita al suo massimo potenziale. Come utilizzo lo stato d'animo che sto vivendo: lo lascio lì, come un pacchetto doloroso e buio o lo affronto per trasformarlo in qualcos'altro, magari una crescita, magari la felicità?
Il mutuo possesso dei dieci mondi dice che non importa quale mondo stiamo vivendo, se l'Inferno o l'Estasi. Importa cosa ne facciamo. Perché qualunque mondo può essere bello, perché ogni condizione vitale, dalla più bassa alla più alta, ha, dentro di sé, il mondo di Buddità.
C'è la Buddità nell'Inferno, e nell'Animalità o nella Collera, c'è la Buddità nel mondo di Studio e in quello di Estasi. Non ci sono mondi buoni e cattivi, se c'è quel guizzo, se c'è l'intenzione di trovare lì dentro il mondo di Buddità.
Non una visione statica dunque, ma, anche qui quel movimento misterioso e bellissimo che è la vita autentica, la possibilità di trasformare.
Anche quando parliamo di karma corriamo lo stesso rischio.
Quello, cioè, di identificare il karma con una visione statica. Inamovibile. Il karma come un macigno pesante e tozzo. Il karma identificato con le cose che ci accadono. Stando così le cose è karma la tendenza a incontrare un certo tipo di persone, un certo tipo di difficoltà, un certo tipo di malattie.
Ma cosa viene prima, cosa importa di più?
Il karma o la trasformazione del karma?
Il Buddismo mette l'accento sulla trasformazione.
Il karma non sono solo le cose che ci capitano. Karma è soprattutto come reagiamo alle cose che ci capitano. Il karma non è riconoscibile solo dagli effetti (mi ha lasciato, mi sono ammalata, mi hanno derubato, non ottengo quel che desidero, non riesco ad avere figli, non ho soldi, non ho lavoro...).
Quando ci si para davanti un ostacolo succede qualcosa, qualcosa che è diverso per ognuno di noi. Lì si manifesta il karma.
Il karma, nella visione dinamica del Buddismo, è soprattutto "come" reagiamo alle cose. Lì c'è il cambiamento, la trasformazione.
C'è una parolina giapponese che la definisce. È soku.
Soku definisce la condizione di qualcosa che è già anche qualcos'altro.
Come il brutto anatroccolo e il cigno, come il bruco e la farfalla, o un bocciolo e la rosa aperta tutta.
Per aiutare a comprendere questo principio, T'ien-t'ai elaborò l'analogia del kaki acerbo e del kaki maturo. Un kaki acerbo, esposto alla luce del sole, si trasforma in un frutto maturo. Il frutto acerbo e quello maturo appaiono diversi, eppure è all'interno dello stesso frutto che ha luogo la trasformazione. Nessuno può dire che il kaki acerbo sia uguale a quello maturo, ma non è possibile neppure dire che siano diversi tra di loro.
Io piena di rabbia o di paura, e io capace di coraggio e allegria. La stessa persona. Quello che si può dire è che entrambe le qualità esistono nello stesso frutto, nello stesso corpo. E sono, allo stesso tempo, in contraddizione e unite. Certamente la trasformazione avviene anche in virtù d'influenze esterne, come la luce o la temperatura nel caso del kaki, ma resta il fatto che il frutto in sé, così come ognuno di noi, possiede quel potenziale, quel guizzo, che rende possibile la trasformazione.
Questa interpretazione di soku consente di riferirci a una visione della vita come appare agli occhi del Budda. La vita in sé, anche la nostra, possiede il potenziale per sviluppare una condizione vitale elevata che integra la contrapposizione che c'è tra desideri e Illuminazione. Secondo l'insegnamento di Nichiren Daishonin, la pratica di Nam-myoho-renge-kyo consente a ciascuno di noi di far emergere la forza vitale del Budda, grazie alla quale è possibile risolvere l'opposizione tra ciò che appare contraddittorio.
Come la paura e la possibilità di farcela, come il ritrarsi o l'affrontare, come i desideri e l'Illuminazione.
La Legge è compassione e armonia.
Noi abbiamo la capacità di trasformare il nostro karma.
Questa trasformazione avviene assai più facilmente e rapidamente se indirizziamo i desideri non solo per noi, facendo entrare nell'orizzonte della rivoluzione umana la visione più ampia e luccicante della trasformazione del mondo che abbiamo intorno.
Il tempo buddista non è il tempo fisico fatto di ore, giorni e anni. È il tempo dell'istante che racchiude l'eternità. È il tempo del cambio qui e ora, avvolta dai problemi, che non sono il mio karma-macigno.
Praticare Nam-myoho-renge-kyo può rendermi capace di sorridere mentre tremo di paura o resistere alla voglia di scappare e non affrontare quello che mi succede. Sorridere mentre penso alla vita in quest'istante. So che al di là di quello che ho fatto finora conta davvero cosa farò da qui in poi, da ora in avanti.
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