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Il V capitolo apre con l'apprezzamento del Buddha Śākyamuni nei confronti di Mahā-Kāśyapa che nel IV capitolo aveva ben descritto, per mezzo della parabola del figlio dell'uomo ricco, la possibilità per gli śrāvaka di raggiungere la suprema illuminazione, anuttarā-samyak-saṃbodhi. Per descrivere la pratica di un buddha, lo Śākyamuni racconta in questo capitolo un'altra parabola detta delle erbe. Come la pioggia bagna innumerevoli e differenti piante ed erbe, portando a ciascuna di esse il giusto quantitativo di acqua, così l'insegnamento del Buddha pur essendo unico, come l'acqua per le piante, per tutti si differenzia in quantità a seconda delle caratteristiche dei discepoli. Sia se essi sono intelligenti o ottusi, diligenti o pigri, l'acqua, la stessa "acqua" ovvero lo stesso insegnamento li raggiungerà anche se per le loro caratteristiche utilizzeranno in modo più o meno approfondito o più o meno congruo l'insegnamento impartito loro e quindi avanzeranno nel cammino spirituale in modo più o meno veloce. Nel descrivere il suo insegnamento, Buddha Śākyamuni afferma:
« Gli esseri vivono in una grande varietà di ambienti, ma solo il Tathagata vede le circostanze autentiche e le comprende chiaramente, senza difficoltà. È come nel caso delle piante e degli alberi, della boscaglia, dei cespugli e delle erbe medicinali, che non hanno consapevolezza della propria natura superiore, media e inferiore. Ma il Tathagata sa che questa Legge ha una forma unica, un unico aroma, vale a dire la forma della emancipazione, la forma della separazione, la forma dell'estinzione, la forma del nirvana definitivo, della costante serena estinzione, che in definitiva si risolve nella vacuità. Il Buddha capisce tutto questo. Ma poiché vede i desideri che alloggiano nelle menti degli esseri viventi, egli li guida e li protegge e per questa ragione non espone loro immediatamente la saggezza onnicomprensiva. » | |
(Sutra del Loto, V |
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