domenica 29 novembre 2009

TRASFORMARE (karma)

L'elemento dinamico della vita è quello che conta di più, perché è la realtà come appare agli occhi del Budda


È una questione di priorità: cosa viene prima, cosa importa di più?
Le cause o gli effetti?
Capita spesso di identificare la nostra vita con gli effetti che viviamo: sto bene se vivo cose belle, sto male se vivo cose brutte.
Eppure il Buddismo dice che la cosa più importante sta nel mettere cause piuttosto che nel concentrarsi sugli effetti. Il Buddismo, cioè, identifica la vita nell'elemento dinamico, in quella cosina misteriosa e bellissima che distingue una cosa ferma da una cosa in movimento. La vita, intesa in questo modo, è proprio quel guizzo, è la possibilità di "trasformare" in ogni istante le cose che ci accadono.
Penso alla teoria buddista dei dieci mondi.
Cosa viene prima, cosa importa di più?
I dieci mondi o il mutuo possesso dei dieci mondi?
Noi, cominciando a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin, impariamo presto a riconoscere quando, nella nostra giornata, stiamo vivendo il mondo d'Inferno, o quello di Avidità, il mondo di Animalità, o quello di Collera e via dicendo. Ma la cosa più importante non è "sapere" in che mondo ci troviamo. È servirsi di quel sapere per usare la vita al suo massimo potenziale. Come utilizzo lo stato d'animo che sto vivendo: lo lascio lì, come un pacchetto doloroso e buio o lo affronto per trasformarlo in qualcos'altro, magari una crescita, magari la felicità?
Il mutuo possesso dei dieci mondi dice che non importa quale mondo stiamo vivendo, se l'Inferno o l'Estasi. Importa cosa ne facciamo. Perché qualunque mondo può essere bello, perché ogni condizione vitale, dalla più bassa alla più alta, ha, dentro di sé, il mondo di Buddità.
C'è la Buddità nell'Inferno, e nell'Animalità o nella Collera, c'è la Buddità nel mondo di Studio e in quello di Estasi. Non ci sono mondi buoni e cattivi, se c'è quel guizzo, se c'è l'intenzione di trovare lì dentro il mondo di Buddità.
Non una visione statica dunque, ma, anche qui quel movimento misterioso e bellissimo che è la vita autentica, la possibilità di trasformare.
Anche quando parliamo di karma corriamo lo stesso rischio.
Quello, cioè, di identificare il karma con una visione statica. Inamovibile. Il karma come un macigno pesante e tozzo. Il karma identificato con le cose che ci accadono. Stando così le cose è karma la tendenza a incontrare un certo tipo di persone, un certo tipo di difficoltà, un certo tipo di malattie.
Ma cosa viene prima, cosa importa di più?
Il karma o la trasformazione del karma?
Il Buddismo mette l'accento sulla trasformazione.
Il karma non sono solo le cose che ci capitano. Karma è soprattutto come reagiamo alle cose che ci capitano. Il karma non è riconoscibile solo dagli effetti (mi ha lasciato, mi sono ammalata, mi hanno derubato, non ottengo quel che desidero, non riesco ad avere figli, non ho soldi, non ho lavoro...).
Quando ci si para davanti un ostacolo succede qualcosa, qualcosa che è diverso per ognuno di noi. Lì si manifesta il karma.
Il karma, nella visione dinamica del Buddismo, è soprattutto "come" reagiamo alle cose. Lì c'è il cambiamento, la trasformazione.
C'è una parolina giapponese che la definisce. È soku.
Soku definisce la condizione di qualcosa che è già anche qualcos'altro.
Come il brutto anatroccolo e il cigno, come il bruco e la farfalla, o un bocciolo e la rosa aperta tutta.
Per aiutare a comprendere questo principio, T'ien-t'ai elaborò l'analogia del kaki acerbo e del kaki maturo. Un kaki acerbo, esposto alla luce del sole, si trasforma in un frutto maturo. Il frutto acerbo e quello maturo appaiono diversi, eppure è all'interno dello stesso frutto che ha luogo la trasformazione. Nessuno può dire che il kaki acerbo sia uguale a quello maturo, ma non è possibile neppure dire che siano diversi tra di loro.
Io piena di rabbia o di paura, e io capace di coraggio e allegria. La stessa persona. Quello che si può dire è che entrambe le qualità esistono nello stesso frutto, nello stesso corpo. E sono, allo stesso tempo, in contraddizione e unite. Certamente la trasformazione avviene anche in virtù d'influenze esterne, come la luce o la temperatura nel caso del kaki, ma resta il fatto che il frutto in sé, così come ognuno di noi, possiede quel potenziale, quel guizzo, che rende possibile la trasformazione.
Questa interpretazione di soku consente di riferirci a una visione della vita come appare agli occhi del Budda. La vita in sé, anche la nostra, possiede il potenziale per sviluppare una condizione vitale elevata che integra la contrapposizione che c'è tra desideri e Illuminazione. Secondo l'insegnamento di Nichiren Daishonin, la pratica di Nam-myoho-renge-kyo consente a ciascuno di noi di far emergere la forza vitale del Budda, grazie alla quale è possibile risolvere l'opposizione tra ciò che appare contraddittorio.
Come la paura e la possibilità di farcela, come il ritrarsi o l'affrontare, come i desideri e l'Illuminazione.
La Legge è compassione e armonia.
Noi abbiamo la capacità di trasformare il nostro karma.
Questa trasformazione avviene assai più facilmente e rapidamente se indirizziamo i desideri non solo per noi, facendo entrare nell'orizzonte della rivoluzione umana la visione più ampia e luccicante della trasformazione del mondo che abbiamo intorno.
Il tempo buddista non è il tempo fisico fatto di ore, giorni e anni. È il tempo dell'istante che racchiude l'eternità. È il tempo del cambio qui e ora, avvolta dai problemi, che non sono il mio karma-macigno.
Praticare Nam-myoho-renge-kyo può rendermi capace di sorridere mentre tremo di paura o resistere alla voglia di scappare e non affrontare quello che mi succede. Sorridere mentre penso alla vita in quest'istante. So che al di là di quello che ho fatto finora conta davvero cosa farò da qui in poi, da ora in avanti.

sabato 28 novembre 2009

LE TRE CHIAVI DELLA FORTUNA

Nella filosofia buddista la fortuna che derivadalla pratica è definita come la protezione delle funzioni vitali (shoten zenjin). Alla luce degli scritti di Nichiren Daishonin è possibile evidenziare tre fattori che attivano questo tipo di fortuna. Sono aspetti totalmente dipendenti dalla volontà e dall’impegno dei fedeli: la pratica, la fede e l’altruismo

Secondo gli antichi greci la sorte del mondo dipendeva in ultima analisi dal fato, concepito come potenza superiore agli stessi dèi. Il fato rappresentava la necessità inconoscibile, e pertanto apparentemente casuale, che regolava l’accadere degli eventi secondo un ordine non modificabile dall’essere umano.
Con il nome Fortuna, invece, era venerata a Roma e nel mondo latino un’antica divinità italica, più tardi identificata con la greca Tyche (letteralmente “ciò che capita”). La dea, detta anche Primigenia, era la madre primordiale che aveva dato origine al mondo: ogni trasformazione attuale, ogni evento o nascita, venivano rimessi alla Fortuna, quale madre di tutte le forme di realtà. Alcuni studiosi hanno identificato nel-la parola Fortuna la radice fero che indica fecondità e fertilità. Altri hanno messo in luce la derivazione etimo-logica da fors, che significa “caso”. Nella tradizione, comunque, vengono riportati entrambi i significati.
L’antica divinità latina era considerata arbitra del destino umano: distribuiva infatti ciecamente felicità, benessere, ricchezze, oppure infelicità e sventure.
Nel Medioevo la Fortuna era rappresentata a cavallo di una ruota: l’individuo la ascende, raggiunge il culmine e inesorabilmente ricade. Dante, nell’Inferno, la immaginò come un’intelligenza celeste ordinata da Dio, «general ministra e duce» dei beni mondani che ella assegna ora all’uno ora all’altro, seguendo il suo incontrastabile giudizio.
Il Rinascimento, considerando il rapporto attivo dell’essere umano con la For-tuna, mise in rilievo la sua inafferrabilità, rappresentandola come una giovane donna che volteggia in una barchetta o addirittura in piedi su un delfino.
Comune denominatore di queste visioni è un essere umano che osserva i mutevoli aspetti della Fortuna, ma non riesce a spiegarne le cause.
Ancora oggi nella nostra tradizione questa impostazione concettuale è rimasta invariata. Nessuno è in grado di comandare la buona sorte o di ingraziarsene i favori. Eccezione fatta naturalmente per maghi e stregoni che non a caso ancora oggi nel terzo millennio vanno per la maggiore.

Ma diamo un’occhiata a oriente.
Il carattere cinese di fortuna significa “protezione degli dèi”. In giapponese fortuna si dice fuku, un unico ideogramma che generalmente indica qualcosa che ci fa sentire felici. Nel Buddismo, invece, fuku è uno dei nomi con il quale viene indicato il beneficio che si ottiene con il Gohon-zon, o anche il suo potere, la sua forza. La differenza con la tradizione occidentale è immediatamente evidente: la possibilità di modificare il proprio destino è nelle mani dell’essere umano.
Nel Gohonzon è scritto fuku ga jugo, che significa “la fortuna ottenuta praticando è superiore ai dieci nomi o virtù del Budda”.
Nella filosofia buddista la fortuna ottenuta mediante la pratica è definita come la protezione degli shoten zenjin.
Cosa sono gli shoten zenjin? Sono gli dèi o divinità buddiste che, secondo la tradizione, si riunirono per ascoltare Shakyamuni predicare il Sutra del Loto e giurarono in quell’occasione di proteggerne i seguaci. Più precisamente sono i poteri protettivi latenti nei fenomeni naturali dell’universo e nella vita individuale, che vengono attivati dalla pratica buddista. Sono forze positive che fanno funzionare la Legge della vita in nostro favore, per la nostra felicità.
Queste funzioni latenti nella natura, descritte dalla filosofia buddista, nella tradizione giapponese hanno preso il nome delle antiche divinità locali. Bonten che governa il cielo, Taishaku dio del tuono, Nitten dio del sole, Gatten della luna, e così via, sono la personificazione di tali funzioni.
Alla luce degli scritti di Nichiren Daishonin è possibile evidenziare tre fattori che attivano la protezione degli shoten zenjin. Sono tre aspetti della pratica buddista, totalmente dipendenti dalla volontà e dall’impegno dei fedeli, all’aumentare dei quali cresce la protezione dell’ambiente.
Sono la pratica, la fede e l’altruismo.

La recitazione del Daimoku

«Il quinto volume del Sutra del Loto afferma: “... Giorno e notte, per amore della Legge, gli dèi lo proteggeranno sempre”. Secondo questo brano del sutra, Daibonten, Taishaku, gli dèi del sole e della luna, i quattro Re celesti e tutte le altre divinità benevolenti daranno giorno e notte la protezione a chi recita Nam-myoho-renge-kyo» (Protesta al bodhisattva Hachiman). È possibile evidenziare tre principali benefici della recitazione del Daimoku: la saggezza, la forza vitale e, come dicevamo, la protezione degli shoten zenjin.
Nella raccolta degli insegnamenti orali Nichiren chiarisce che dal punto di vista del principio buddista di inseparabilità della vita e del suo ambiente (esho funi), i risultati della nostra pratica si manifestano sia come saggezza, che indica la riforma della vita umana (shoho), sia come fortuna, che è la riforma dell’ambiente (eho).
Ma mentre la saggezza, così come la forza vitale, si manifesta contemporaneamente o immediatamente dopo la recitazione del Daimoku, la protezione delle divinità buddiste si manifesta solo quando il praticante compie l’azione. Affinché gli shoten zenjin si mettano in moto occorre che, dopo aver recitato Daimoku con un obiettivo, ci adoperiamo concretamente per realizzarlo.
Si dice che gli shoten zenjin si cibino di Daimoku, cioè diventano forti se li alimentiamo con la nostra pratica. Se però recitiamo Nam-myoho-renge-kyo senza passare all’azione, per riprendere una divertente lezione di Mitsuhiro Kaneda, presidente dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, essi ingrassano e divengono pigri. Quindi non portano nessun beneficio al praticante. Naturalmente non dovranno essere neppure troppo magri. Affinché funzionino a nostro vantaggio devono essere potenziati dal Daimoku e resi operanti dalle nostre azioni.
Scrive Nichiren nel Gosho Sulle preghiere: «Perfino un devoto del Sutra che sia incapace, che manchi di saggezza, che abbia un corpo impuro o che non osservi i precetti, sarà sicuramente protetto finché recita Nam-myoho-renge-kyo» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 9, p. 183).

La fede

«Nell’ottavo volume del Maka Shikan e nell’ottavo volume del Guketsu di Miao-lo si afferma: “Più forte è la fede di una persona, maggiore è la protezione degli dèi”. Questo vuol dire che la protezione degli dèi dipende dalla forza della fede di una persona. Il Sutra del Loto è una spada affilata, ma la sua forza dipende da chi la impugna» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 6, p. 183).
La fede è quindi un altro fattore decisivo che determina la protezione delle divinità buddiste. Essa, infatti, attira la protezione funzionando proprio come una calamita. Nel Gosho di Capodanno Nichiren afferma: «Coloro che credono nel Sutra del Loto attireranno la fortuna da mille miglia lontano». «Per esempio – ha spiegato Kaneda alcuni anni fa commentando questo brano – dopo una decina di anni di pratica chi ha un negozio o una qualsiasi attività commerciale può sperimentare un notevole miglioramento negli affari. Quando si accumula fortuna i clienti arrivano da soli. Invece, finché la fortuna manca, bisogna cercarli. Io stesso ho questa esperienza: all’inizio della mia attività ero io a cercare i clienti, mentre adesso sono loro che mi cercano. Come è potuto avvenire questo cambiamento? Dopo aver praticato per diversi anni, ho accumulato fortuna. Perciò chi ha problemi finanziari deve sviluppare la capacità di attirare fortuna, proprio come una calamita» .
Nei momenti difficili quindi, quando si attraversa una crisi economica o lavorativa, bisogna tornare alla fede e migliorare ancora il proprio atteggiamento.
«Se uno conserva una fede salda – spiega il Daishonin a una discepola in difficoltà – certamente la protezione dagli dèi sarà grande. Lo dico per il tuo bene. La tua fede nel passato è stata sincera, ma ora devi avere una fede ancora più forte di prima. Allora riceverai una protezione sempre maggiore da parte delle dieci divinità» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, p. 156).
Nel Gosho La strategia del Sutra del Loto Nichiren Daishonin parla di fortuna: «Quando una persona ha esaurito la propria buona fortuna, qualsiasi strategia sarà inutile. Quan-do avrà esaurito i propri benefici, neanche i suoi seguaci la seguiranno più. Perciò devi raccogliere più che mai il potere della tua fede. Non rimproverare gli dèi se esaurisci la tua buona fortuna e perdi la loro protezione».
Ma c’è un altro aspetto della fede sul quale occorre riflettere. È l’atteggiamento con il quale ci prendiamo cura di noi stessi, apprezzando e rispettando la nostra vita che è il più prezioso di tutti i tesori. Anche questo determina la protezione che riceviamo dall’esterno.
Quanto curiamo la nostra vita? Quanto la proteggiamo da eventuali incidenti? Esiste una relazione tra l’atteggiamento con il quale rispettiamo e riveriamo la nostra vita e la protezione che essa ci assicura. Nichiren chiarisce a questo proposito: «Un importante principio buddista dice: “La fragranza interna riceverà protezione dall’esterno”» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 172).
Facciamo un banalissimo esempio concreto. Prendiamo una persona che possiede un’automobile ma che non si occupa di renderla sicura ed efficiente. Non sostituisce i copertoni se si logorano o non controlla i freni pensando magari: «Non c’è bisogno; pratico il Buddismo quindi sarò sicuramente protetto». Ecco, questo atteggiamento non garantisce nessuna protezione. Se al contrario tengo in gran conto la mia vita e di conseguenza la proteggo da possibili incidenti curando l’efficienza e la sicurezza della mia auto, sicuramente otterrò la protezione degli shoten zenjin. Questo perché ogni aspetto della nostra vita, primo fra tutti l’atteggiamento verso la nostra e l’altrui esistenza, ha un riflesso sul nostro ambiente.
Scrive il Daishonin ne Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza: «Sia che tu invochi il nome del Budda, che reciti il sutra o che semplicemente offra fiori o incenso, tutte le tue azioni virtuose costituiranno la causa per i benefici e per la fortuna nella tua vita. Con questa convinzione devi mettere la tua fede in pratica» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 5).

L’altruismo e la pratica per gli altri

«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci rende degni di rispetto» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 272).
Cosa intende il Daishonin dicendo che «la sfortuna viene dalla bocca»? Il modo con il quale ci rivolgiamo agli altri determina la nostra sfortuna o la nostra fortuna. Se offendiamo, disprezziamo, calpestiamo la vita delle altre persone avremo una risposta dal nostro ambiente. Se usiamo il cuore apprezzando gli altri, sostenendoli, incoraggiando e aiutando i nostri vicini ne avremo un’altra. Spiega Nichiren che quando una persona si inchina di fronte a uno specchio l’immagine riflessa nello specchio si inchinerà verso di lui. La risposta che otteniamo dal nostro ambiente non deriva dai capricci di una dea bendata, né tantomeno dal caso. Se ci accorgiamo di non essere in un periodo fortunato, se l’ambiente non ci protegge, controlliamo il nostro egoismo e apriamo la vita agli altri. Perché, come dice Nichiren, «la fortuna viene dal cuore...».
L’armonia col nostro ambiente è determinata dall’atteggiamento che abbiamo con tutto ciò che ci circonda. Innanzitutto con le altre persone, ma anche con l’ambiente naturale e gli oggetti. Così come noi ci rapportiamo al mondo, a sua volta il mondo, cioè l’immagine riflessa nello specchio, si rivolge a noi. Se noi ci inchiniamo alla vita, cioè la rispettiamo, la amiamo e la sosteniamo, la vita si inchinerà verso di noi.
Scrive inoltre Nichiren nel Gosho Curare la malattia: «La natura fondamentale illuminata si manifesta negli dèi buddisti Bonten e Taishaku, la natura fondamentale oscurata si manifesta come il Demone del sesto cielo. Gli dèi benevoli odiano gli uomini malvagi e gli spiriti maligni odiano gli uomini buoni» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, p. 78).
In particolare insegnare alle persone a praticare e sostenerle durante il loro percorso di fede è l’azione altruistica che Nichiren più spesso sottolinea. Curare i propri compagni di fede è la fonte di immensa fortuna.
Scrive infatti il presidente della Soka Gakkai Daisaku Ikeda: «Dedicandoci al Buddismo, alla felicità degli altri, possiamo conseguire la Buddità, una gioia inesprimibile. Il Daishonin afferma: “Gli dèi buddisti si manifesteranno sicuramente come uomini e donne e faranno offerte al devoto del Sutra del Loto”(Gosho Zenshu, p. 738). “Devoto del Sutra del Loto” si riferisce anche a coloro che lavorano per kosen-rufu. Quando intraprendiamo delle azioni che onorano la Legge mistica, gli dèi buddisti in veste di esseri umani si manifestano per proteggerci. Ma dèi buddisti sono anche le funzioni della natura, come l’acqua o il vento: possono assumere qualsiasi forma benefica. Quando il Daishonin dice: “Essi si manifestano come uomini e donne” vuole indicare quelle persone che intorno a noi ci aiutano. È facile riconoscerli nel sostegno offertoci dai nostri amici membri. Il loro manifestarsi è così confortante, gli amici che ci aiutano sono gli dèi buddisti che ci vengono in soccorso. Se lavoriamo duramente per sostenere e incoraggiare mille, diecimila amici, mille, diecimila dèi buddisti ci proteggeranno» .
(Lodovico Prola)