sabato 17 aprile 2010

Sutra del Loto: VI capitolo

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Questo breve capitolo è detto delle "Profezie". Qui il Buddha Śākyamuni predice il futuro di alcuni suoi importanti discepoli e śrāvaka, tutti diveranno dei Buddha, così:

Sutra del Loto: V capitolo

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Il V capitolo apre con l'apprezzamento del Buddha Śākyamuni nei confronti di Mahā-Kāśyapa che nel IV capitolo aveva ben descritto, per mezzo della parabola del figlio dell'uomo ricco, la possibilità per gli śrāvaka di raggiungere la suprema illuminazione, anuttarā-samyak-saṃbodhi. Per descrivere la pratica di un buddha, lo Śākyamuni racconta in questo capitolo un'altra parabola detta delle erbe. Come la pioggia bagna innumerevoli e differenti piante ed erbe, portando a ciascuna di esse il giusto quantitativo di acqua, così l'insegnamento del Buddha pur essendo unico, come l'acqua per le piante, per tutti si differenzia in quantità a seconda delle caratteristiche dei discepoli. Sia se essi sono intelligenti o ottusi, diligenti o pigri, l'acqua, la stessa "acqua" ovvero lo stesso insegnamento li raggiungerà anche se per le loro caratteristiche utilizzeranno in modo più o meno approfondito o più o meno congruo l'insegnamento impartito loro e quindi avanzeranno nel cammino spirituale in modo più o meno veloce. Nel descrivere il suo insegnamento, Buddha Śākyamuni afferma:

« Gli esseri vivono in una grande varietà di ambienti, ma solo il Tathagata vede le circostanze autentiche e le comprende chiaramente, senza difficoltà. È come nel caso delle piante e degli alberi, della boscaglia, dei cespugli e delle erbe medicinali, che non hanno consapevolezza della propria natura superiore, media e inferiore. Ma il Tathagata sa che questa Legge ha una forma unica, un unico aroma, vale a dire la forma della emancipazione, la forma della separazione, la forma dell'estinzione, la forma del nirvana definitivo, della costante serena estinzione, che in definitiva si risolve nella vacuità. Il Buddha capisce tutto questo. Ma poiché vede i desideri che alloggiano nelle menti degli esseri viventi, egli li guida e li protegge e per questa ragione non espone loro immediatamente la saggezza onnicomprensiva.  »

(Sutra del Loto, V

Sutra del Loto: IV capitolo

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Oltre a Śāriputra anche gli altri śrāvaka, Mahā-Kātyāyana, Mahā-Kāśyapa e Mahā-Maudgalyāyana gioiscono perché comprendono che pur avendo realizzato il nirvāṇa degli arhat possono proseguire fino alla realizzazione dell' anuttarā-samyak-saṃbodhi, il "risveglio" profondo e completo. Per spiegare al Buddha Śākyamuni la loro felicità, raccontano anch'essi una parabola che possiede delle somiglianze con la parabola del "Figliol prodigo" contenuta nel Vangelo dei cristiani. Tale parabola narra di un figlio che ha abbandonato in gioventù il padre vivendo sempre più in uno stato di indigenza. Passati dieci anni girovagando per il mondo casualmente ritorna alla sua terra di origine. Nel frattempo il padre lo aveva inutilmente cercato poiché essendo ricco era desideroso di trasferirgli i suoi immensi patrimoni. Nel suo peregrinare il figlio giunge di fronte al maestoso palazzo paterno e vede il padre riccamente adornato ma non lo riconosce, anzi pensa che possa essere un re e quindi di rischiare la cattura e decide quindi di fuggire. Il padre, che invece lo aveva riconosciuto subito, manda un inserviente a catturarlo. Il figlio, raggiunto e spaventato dall'inserviente, si dimena e quindi sviene. Il padre decide quindi di non dirgli subito la verità, ma di lasciare che egli possa scoprirla da sola. Fattolo rinvenire, lo lascia andare ma subito invia due uomini per assumerlo come servo con una buona paga. Il padre è tuttavia profondamente triste nel vedere il figlio, sporco e inconsapevole, lavorare per lui come un servo; allora si spoglia egli stesso delle sue ricchezze e travestitosi da servo lo avvicina. Progressivamente il padre fa acquisire al figlio sicurezza e consapevolezza del suo valore, fino ad affidargli la gestione dei suoi beni. Alla fine, giunto sul punto di morte, il padre chiama tutti i parenti e svela a loro e allo stesso figlio tutta la storia, lasciandogli tutta l'eredità. Così, gli śrāvaka raccontano di aver compreso la profonda dottrina del Buddha e dopo aver superato il nirvāṇa degli arhat, che corrisponde alla paga del figlio in stato di servitù, affermano di aver ottenuto l' anuttarā-samyak-saṃbodhi, che pur non avendolo desiderato è giunto loro spontaneamente, come i beni del padre sono giunti al figlio senza che egli li avesse mai richiesti.

Sutra del Loto: III capitolo

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Śāriputra, uno dei principali discepoli del Buddha Śākyamuni in una antica stampa cinese. La mano sinistra regge la ciotola delle elemosine (pātra) mentre la destra è nel "gesto di minaccia" (tarjanamudrā) con l'indice puntato verso l'avversario.
Nel terzo capitolo, Śāriputra gioisce della notizia che anche gli śrāvaka come lui potranno ottenere la "liberazione" ultima, la buddhità. E riconosce che il suo errore, come quello di altri śrāvaka, è stato di fermarsi nel nirvāṇa dello Hīnayāna e di non proseguire verso l' anuttarā-samyak-saṃbodhi ("illuminazione definitiva"). Il Buddha Śākyamuni gli risponde annunciandogli che anche lui, Śāriputra, dopo essere divenuto un bodhisattva acquisirà la buddhità completa divenendo il Buddha Padmaprabha (Loto Splendente). Dopo altre predizioni, il Buddha si accinge a spiegare la ragione dell'utilizzo dei diversi veicoli (yāna) e dei diversi "mezzi abili" (upāya) per consentire agli esseri (sattva) di realizzare l'illuminazione profonda e ultima (l' anuttarā-samyak-saṃbodhi). La ragione viene espressa per mezzo di una "parabola" perché, come sostiene il Buddha nel Sutra, «per mezzo delle parabole le persone intelligenti raggiungono il significato». Il Buddha racconta quindi di un uomo molto ricco, in età avanzata, possessore di molti beni, il cui palazzo aveva una sola entrata. Questo palazzo era in pessimo stato e all'interno vivevano centinaia di persone. Ad un certo punto all'interno del palazzo di sviluppa un incendio che si propaga per tutto l'edificio, e un numero imprecisato di figli di quest'uomo ricco rischiano la vita. Il padre riflette sul da farsi ma si rende conto che portare via i figli è una operazione impossibile dato lo stretto ingresso del palazzo. Essi potrebbero infatti dimenarsi e scappare nuovamente all'interno del palazzo in fiamme. Allora li invita ad uscire, ma essi, intenti ai loro giochi, non prestano attenzione alle grida di allarme del padre. A questo punto il padre, che conosceva bene la natura di questi ragazzi e da cosa essi erano attratti, li avverte che fuori del palazzo li aspettavano diversi giochi rappresentati da carri trainati da capre, carri trainati da cervi e carri trainati da buoi, adornati e bellissimi a vedersi. Spinti dai nuovi giochi i ragazzi abbandonano quelli vecchi e corrono verso l'uscita del palazzo mettendosi finalmente in salvo. Fuori del palazzo li aspetta in realtà un tipo solo di carro, magnifico e gigantesco, al di là delle loro aspettative e delle loro fantasie, trainato da splendidi buoi bianchi. Il Buddha domanda a Śāriputra se il padre che ha promesso tre diversi tipi di carri ai figli, donandogliene invece un solo tipo, anche se meraviglioso, ha loro mentito. Śāriputra risponde che no, non ha mentito, in quanto già il fatto di avergli salvato la vita avrebbe giustificato la promessa, inoltre il ricco, sapendo che delle grandi ricchezze di cui disponeva, ha potuto regalargli qualcosa di decisemente più importante. Il Buddha continua spiegando che egli è come un padre per gli esseri viventi. Riferendosi a sé stesso afferma:

« Egli è nato nel Trailokya ("Triplice mondo"), una casa in fiamme, un vecchio edificio in rovina, per salvare gli esseri viventi dall'incendio della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte, dalle ansie, dalle sofferenze, dalla stupidità, dall'incomprensione e dai tre veleni, per istruirli e convertirli, mettendoli in grado di conseguire la liberazione. Egli vede gli esseri viventi arsi dalla nascita, dalla vecchiaia, dalla malattia e della morte, dalle angosce e dalle sofferenze, li vede subire molti dolori [...]. [...] Eppure gli esseri viventi, mentre annegano in mezzo a tutto ciò, si trastullano e si divertono inconsapevoli, incoscienti e senza alcun timore »

(Sutra del Loto, III)
Quindi il Buddha, sostiene il Sutra, è come un padre mentre gli esseri senzienti sono come i figli del ricco della parabola costretti in un mondo in fiamme. Il Buddha appare con i suoi insegnamenti diversi per le diverse predisposizioni individuali dei suoi figli, utilizzando espedienti adatti a ciascuno di loro, consapevole che qualsiasi altro sistema non sarebbe utile per la loro salvezza. Ma la salvezza, il grande carro trainato dai buoi magnifici, è diverso dai singoli "mezzi abili" (upāya) utilizzati dal Buddha ed è unico per tutti gli esseri. Ciò premesso il Buddha si raccomanda di non predicare queste dottrine agli esseri privi di saggezza per non provocare loro rovina causata dal disprezzo che proverebbero per questi profondi insegnamenti.
Gene Reeves spiega così la natura della parabola della "casa in fiamme":

« La parabola è stata interpretata come se volesse dire che il mondo è come una casa in fiamme. Ma il Sutra non propone la fuga dal mondo. Altrove esso mette in chiaro che occorre lavorare nel mondo per salvare gli altri. L idea proposta è, piuttosto, che siamo come bambini che giocano e che non fanno abbastanza attenzione a ciò che li circonda. Probabilmente non è il mondo intero a essere in fiamme, ma i nostri campi di gioco, i mondi privati che creiamo con il nostro attaccamento e con il nostro autocompiacimento. Pertanto, lasciare la casa non è fuggire dal mondo ma lasciarci dietro il nostro mondo dei giochi, i nostri attaccamenti e le nostre illusioni, o alcune di esse, al fine di entrare nel mondo reale. È importante inoltre notare che il padre dice ai figli che possono avere ciò che desiderano di più. Non può unicamente forzarli a uscire; si appella a qualcosa che è già in loro, qualcosa che in tempi successivi diverrà conosciuta come Natura-di-Buddha. [...] Anche il meraviglioso carro che il padre dà ai figli è, dopotutto, solo un carro, un veicolo. Tutte le pratiche e gli insegnamenti devono essere considerati come mezzi, come possibili modi di aiutare le persone. Non devono mai essere presi come verità ultime. Tuttavia, il fatto che sono usati per salvare le persone significa che sono verità molto importanti. »

(Gene Reeves [1] )