mercoledì 31 marzo 2010

CAPITOLO ESPEDIENTI

Capitolo Espedienti
A quel tempo l'Onorato dal Mondo sorse serenamente dalla samadhi e, rivolto a Shariputra, disse: «La saggezza dei Budda è infinitamente profonda e incommensurabile. L'accesso a questa saggezza è difficile da comprendere e difficile da varcare. Nessuno tra gli ascoltatori della voce o tra i pra-tyekabuddha è in grado di comprenderla.«Qual è la ragione di ciò? Un Budda ha assistito centinaia, migliaia, decine di migliaia, milioni, un numero infinito di Budda e ha portato a termine innumerevoli pratiche religiose. Si è esercitato con coraggio e diligenza e il suo nome è universalmente noto. Ha percepito la Legge profonda e finora mai conosciuta e la espone in modo appropriato alle circostanze; eppure la sua intenzione è difficile da comprendere. «Shariputra, da quando ho conseguito la Buddità ho esposto ampiamente i miei insegnamenti servendomi di varie cause e parabole e con innumerevoli espedienti ho guidato gli esseri umani inducendoli a rinunciare ai loro attaccamenti. Per quale motivo? Perché il Tathagata è completamente dotato sia degli espedienti sia della paramita della saggezza.«Shariputra, la saggezza del Tathagata è vasta e profonda. Egli è dotato di infinita [compassione] e di illimitata [eloquenza], di potere, coraggio, concentrazione, emancipazione e samadhi; inoltre è penetrato profondamente nell'infinito e si è risvegliato alla Legge finora mai conosciuta. «Shariputra, il Tathagata sa come operare diversi gradi di distinzione fra gli insegnamenti e li predica con abilità. Le sue parole sono soavi e gentili e rallegrano il cuore delle moltitudini. «Ricapitolando, Shariputra, il Budda ha pienamente realizzato la Legge infinita, incommensurabile, senza precedenti.
«Ora basta, Shariputra, altro non dirò, perché la Legge cui si è risvegliato il Budda è la più rara e la più difficile da comprendere. Il vero aspetto di tutti i fenomeni può essere compreso e condiviso solo tra Budda. Questa realtà consiste di: aspetto, natura, entità, potere, azione, causa [interna], relazione, effetto [latente], retribuzione e della loro coerenza dall'inizio alla fine.»

Capitolo Durata della vita del Tathagata


Da quando ho conseguito la Buddità
il numero di kalpa che sono trascorsi
è incalcolabile: centinaia, migliaia, miriadi,
milioni, miliardi, asamkhya.
Io ho predicato costantemente la Legge,
istruendo e convertendo innumerevoli milioni di
esseri viventi,
facendoli entrare nella via del Budda;
tutto questo per kalpa innumerevoli.
Per salvare gli esseri viventi,
uso l'espediente di mostrare il mio nirvana
ma in verità non mi estinguo.
Sono sempre qui a predicare la Legge.
Sono sempre qui,
ma grazie ai miei poteri sovrannaturali
faccio in modo che gli esseri viventi obnubilati
non mi vedano, neanche quando sono vicino.
Quando le moltitudini vedono la mia estinzione,
per ogni dove fanno offerte alle mie reliquie.
Tutti nutrono pensieri nostalgici
e i loro cuori anelano vedermi.
Quando gli esseri viventi diventano devoti
credenti,
dall'animo retto e sincero,
e desiderano con tutto il cuore vedere il Budda
anche a costo della vita,
allora io e l'assemblea dei monaci
appariamo insieme sul sacro Picco dell'Aquila.
Allora io dico loro
che sono sempre qui, che non mi estinguo mai,
ma che, in virtù del potere degli espedienti,
a volte sembra che io sia morto, a volte no;
dico anche che se vi sono esseri viventi in
altre terre,
rispettosi e sinceri nel loro desiderio di credere,
allora io predico la Legge suprema
anche presso di loro.
Ma voi non avete mai udito queste mie parole,
così pensate che io scompaia.
Quando osservo gli esseri viventi
li vedo annegare in un mare di sofferenze;
perciò non mi mostro,
facendo scaturire il loro desiderio.
Poi, quando i loro cuori bramano la mia venuta,
faccio il mio avvento e predico la Legge per
loro.
Questi sono i miei poteri sovrannaturali.
Per asamkhya kalpa
sono sempre vissuto sul sacro Picco dell'Aquila
e in diversi altri luoghi.
Quando gli esseri viventi assistono alla fine
di un kalpa
e tutto arde in un grande fuoco
questa, la mia terra, rimane salva e illesa,
costantemente popolata di dèi e di uomini.
Le sale e i palazzi nei suoi giardini e nei
suoi boschi
sono adornati di gemme di varia natura.
Alberi preziosi sono carichi di fiori e di frutti
e là gli esseri viventi sono felici e a
proprio agio.
Gli dèi suonano tamburi celesti
creando un'incessante sinfonia di suoni.
Boccioli di mandarava piovono dal cielo
posandosi sul Budda e sulla moltitudine.
La mia pura terra non viene distrutta,
eppure gli uomini la vedono consumarsi
nel fuoco:
ansia, paura e altre sofferenze
predominano ovunque.
Questi esseri viventi con molte colpe,
per il karma creato dalle loro azioni malvagie,
trascorrono asamkhya kalpa
senza udire il nome dei tre tesori.
Ma coloro che praticano vie meritorie,
che sono gentili, miti, onesti e retti,
tutti loro mi vedranno
qui, in persona, intento a predicare la Legge.
In certe occasioni io spiego a questa moltitudine
che la durata della vita del Budda è
incalcolabile,
e a coloro che vedono il Budda solo dopo
molto tempo
spiego quanto sia difficile incontrare il Budda.
Tale è il potere della mia saggezza:
la sua luce risplende senza limiti.
Ho conseguito questa vita che dura da infiniti
kalpa
come risultato di una lunga pratica.
Voi, che siete dotati di saggezza,
non dubitate di ciò!
Abbandonate ogni dubbio una volta per tutte,
poiché le parole del Budda sono vere, non
false.
Egli è come l'abile medico,
che usa uno stratagemma per curare i figli usciti
di senno.
Sebbene sia vivo, diffonde la notizia della sua
morte,
ma nessuno può accusarlo di menzogna.
Io sono il padre di questo mondo
che salva coloro che sono afflitti e soffrono.
Dato che le persone comuni sono illuse,
sebbene io viva, faccio credere di essere estinto.
Questo perché, se mi vedessero costantemente,
nelle loro menti sorgerebbero arroganza
ed egoismo.
Liberi da ogni freno, si abbandonerebbero ai
cinque desideri
e cadrebbero nei cattivi sentieri.
Io so sempre chi sta praticando la via
e chi non lo sta facendo,
e, in risposta al loro bisogno di salvezza,
predico per loro diverse dottrine.
Questo è il mio pensiero costante:
come posso far sì che tutti gli esseri viventi
accedano alla via suprema
e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?

martedì 30 marzo 2010

SUTRA DEL LOTO: II capitolo

 Il secondo capitolo del Sutra del Loto, denominato  "Mezzi abili" o "Espedienti", giapponese hōben
è uno dei più importanti del Sutra del Loto
In questo capitolo, il Buddha Śākyamuni risorge dal profondo stato di samādhi e avvia un dialogo con Śāriputra
Il discepolo gli chiede insistentemente di predicare la Dottrina profonda, ma il Buddha risponde che 
«la Legge su cui si è risvegliato il Buddha è la più rara e la più difficile da comprendere. La vera entità di tutti i fenomeni può essere compresa e condivisa solo dai Buddha». Questa realtà profonda (o assoluta) dei fenomeni si esprimerebbe comunque, secondo l'insegnamento del Buddha riportato nel Sutra del Loto, sulle dieci "talità" (tathātā):
caratteristiche, 
natura, 
essenza, 
forza, 
azione, 
causa, 
condizione, 
retribuzione, 
 frutto e uguaglianza di tutte queste talità tra loro                                                       .
Solo i bodhisattva risoluti (adhimukti) nel raggiungere il "risveglio" possono penetrare questa profonda dottrina, inesprimibile con le parole. Non solo, il Buddha avverte anche che qualora predicasse lo stesso questa dottrina inesprimibile gli esseri cadrebbero nel dubbio, mentre i monaci arroganti si ritroverebbero in un abisso profondo, rifiutando di accettarla. Śāriputra insiste e il Buddha si risolve a rispondergli. 
A questo punto cinquecento tra monaci e monache "arroganti" si alzano, si inchinano davanti al Buddha e lasciano l'assemblea. Il Buddha non li trattiene, anzi si mostra felice che l'assemblea dei monaci sia ora composta solo da individui sinceri e risoluti.
Da questo momento il II capitolo si avvia a spiegare che il motivo dell'esistenza del Buddha risiede solamente nella sua volontà di condurre gli esseri senzienti verso la liberazione
Da notare che, di fatto, il Buddha continua a non rispondere alla domanda di Śāriputra sulla profonda dottrina. 
Egli, tuttavia, fa presente che la suddivisione nei vari veicoli , così denominati perché "conducono" gli esseri verso la "liberazione"), ovvero lo śrāvaka-yāna, il pratyekabuddha-yāna e il bodhisattva-yāna (i primi due sarebbero, secondo la tradizione Mahāyāna, appartenenti allo Hīnayāna, mentre solo l'ultimo sarebbe, per questa tradizione,  non sarebbero che espedienti  di insegnamento ma che in realtà vi è solo un veicolo, il buddhaekayāna, il veicolo dei Buddha. Quindi il Buddha insegna per espedienti adattandoli, in modo diversificato, alla mente dei discepoli per liberarli dalla sofferenza, dalle impurità, dalla confusione. Così nel passato, nel presente e nel futuro appaiono Buddha con vari insegnamenti (upāya) ma tutti appartengno all'"unico veicolo" di salvezza. Così tutti coloro che seguono questi diversi insegnamenti e mettono in atto le relative diverse pratiche raggiungeranno, prima o poi, la "buddhità".

(tratto da : http://it.wikipedia.org/wiki/Sutra_del_Loto:_II_capitolo)
 

sabato 20 marzo 2010

SUTRA DEL LOTO: cap. I

 

Il primo capitolo del Sutra del Loto si avvia con un prologo che descrive un'assemblea dei monaci riuniti a Gṛdhrakūṭa (Picco dell'avvoltoio, montagna esistente in India situata nei pressi di Rajgir, nello stato indiano del Bihar), dove, secondo il Buddhismo Mahāyāna, il Buddha Śākyamuni avviò gli insegnamenti dei Prajñāpāramitā Sūtra. Il prologo inizia con la dichiarazione "Così ho udito" (sanscrito: एवं मया श्रुतम् Evam mayā śrutam), propria dei sutra la cui esposizione si attribuisce al Buddha Śākyamuni. Il Buddha ha appena terminato di esporre il Sutra dell'Infinito Significato (sanscrito: Anuttarâśraya-sūtra, pinyin: Wúliángyì jīng, T.D. 276, 9.383b-389b) al termine del quale entra in un profondo samadhi e l'intera assemblea viene inondata di fiori di māndārava, di grandi māndārava, di mañjūṣaka e di grandi mañjūṣaka[1]. A questo punto dalle sue sopracciglia viene sprigionata una luce (la ūrṇā-keśa, uno dei Trentadue segni maggiori di un Buddha) che illumina i diciottomila mondi ad Oriente, raggiungendo i territori celestiali come gli inferi. Questo consente, ai monaci e agli altri esseri convenuti, di vedere i Buddha e gli esseri di quei mondi attivarsi in azioni religiose. A questo punto il bodhisattva Maitreya domanda al bodhisattva Mañjuśrī il significato di quella visione, Mañjuśrī gli risponde che ritiene che il Buddha stia per esporre la Grande dottrina (il Dharma più profondo). Mañjuśrī è in grado di rispondere alla domanda di Maitreya in quanto aveva già assistito, in un lontano passato, ad un avvenimento analogo quando era al cospetto del Buddha Candrasūryapradīpa (Splendore della Luna e del Sole) il quale prima agli śrāvaka aveva insegnato le "Quattro nobili verità" (catvāri-ārya-satyāni), ai pratyekabuddha la "coproduzione condizionata" (pratītyasamutpāda) e ai bodhisattva le sei "perfezioni" (pāramitā). Dopo di ciò era entrato anche lui nel profondo samādhi per poi illuminare i diciottomila mondi ad Oriente con la ūrṇā e predicare la Grande dottrina e infine entrare nel parinirvāṇa. Mañjuśrī ricorda anche di essere stato, a quel tempo il bodhisattva Varaprabha (Luce Meravigliosa), e ricorda anche che Maitreya era invece un discepolo chiamato Yaśaksāma (Cercatore di fama), indolente e incapace di capire gli insegnamenti ma che, grazie alle continue azioni religiose, aveva potuto realizzare lo stato di bodhisattva e presto anche quello di Buddha, il Buddha Maitreya.

Le Quattro Nobili Verità

Le Quattro Nobili Verità  rappresentano un elemento cardine della dottrina buddhista.
La narrazione classica delle vicende che portarono il principe Siddhārtha Gautama, detto il Buddha, a sviluppare la dottrina della religione di cui fu il primo maestro lo riportano tanto sollecito e ansioso di risolvere il problema esistenziale di base della vita umana dall'abbandonare la vita principesca di palazzo per intraprendere le varie vie di ricerca e di pratica religiosa del tempo.
La prima conclusione ferma di tale ricerca fu lo sviluppo della dottrina delle Quattro Nobili Verità, della cui essenza gli sorse la consapevolezza durante una meditazione condotta nel Parco dei Cervi (o delle gazzelle) di Sārnāth, presso Varanasi.

La formulazione delle Quattro nobili verità
«O monaci, il Tathāgatha, il Venerabile, il Perfettamente risvegliato, ha messo in moto presso Bāraṇasī, a Isipatana, nel Parco delle gazzelle, l'incomparabile ruota della Legge , che non può essere ostacolata da alcun asceta o brāhamana o Māra o Brahmā né da chiunque altro al mondo - la ruota della Legge, cioè l'annunciazione, l'esposizione, la dichiarazione, la manifestazione, la determinazione, la chiarificazione, l'esposizione dettagliata delle Quattro nobili verità. E di quali quattro? Della nobile verità del dolore, della nobile verità dell'origine del dolore, della nobile verità della cessazione del dolore, della nobile verità della via che porta alla cessazione del dolore..»
(Buddha Shakyamuni Saccavibhaṅga Sutta, Majjhima Nikāya, 141. [1] )


La formulazione classica delle "Quattro Nobili Verità", esposta nel "Discorso della messa in moto della ruota della Dottrina" è:

Verità del dolore

Verità dell'origine del dolore

Verità della cessazione del dolore



La Verità del dolore

Nella vita degli esseri senzienti  tra cui l'essere umano, è insita la "sofferenza" . Tale esperienza del dolore riguarda anche i momenti di "appagamento" e "serenità" in quanto essi stessi impermanenti. Nei testi canonici il Buddha Shakyamuni individua otto tipi di dolore:
1.Il dolore della nascita. Tale dolore è causato dalle caratteristiche del parto e dal fatto di generare le sofferenze future.
2.Il dolore della vecchiaia, che indica l'aspetto di degrado dell'impermanenza.
3.Il dolore della malattia, determinato dallo squilibrio fisico.
4.Il dolore della morte, generato dalla perdita della vita.
5.Il dolore causato dall'essere vicini a ciò che non ci piace.
6.Il dolore causato dall'essere lontani da ciò che si desidera.
7.Il dolore causato dal non ottenere ciò che si desidera.
8.Il dolore causato dai cinque skandha (o aggregati) ovvero dalla loro unione e dalla loro separazione.


Queste lista di otto dolori viene riassunta in tre categorie :

Dolore in quanto tale .
 Questa categoria riassume i dolori inerenti alla nascita, alla malattia, alla vecchiaia e alla morte. Ma anche quelli riguardanti all'essere uniti a ciò che non si desidera e a quelli procurati nel cercare di fuggire lo stesso dolore.

Dolore per ciò che muta .
 In questa catergoria vengono riassunte le sofferenze procurate dall'impermanenza come quelli dell'essere separati da ciò che si desidera o quelli generati da non ottenere ciò che si brama.

Dolore generato dall'esistenza .
In questa categoria vengono elencati i dolori relativi all'insoddisfazione perenne procurata dall'esistenza nel saṃsāra: la frustrazione, l'inutilità di numerose nostre attività. Queste sofferenze sono collegate ai cinque skandha (o aggregati) e ai relativi attaccamenti.



La Verità dell'origine del dolore

Il "dolore" non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dalla sete, o brama , per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta nelle tre forme di:
 "brama di oggetti sensuali";
 "brama di esistere";
 "brama di annullare l'esistenza".

La Verità della cessazione del dolore
"Esiste l'emancipazione dal dolore"
Per sperimentare l' emancipazione dal dolore , occorre lasciare andare tṛṣṇā, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile. Questo stato di cessazione viene denominato nirodha.

La Verità della via che porta alla cessazione del dolore
"Esiste un percorso di pratica da seguire per emanciparsi dal dolore".
È il percorso spirituale da intraprendere per avvicinarsi al  .nirvāṇa
Esso è detto il Nobile ottuplice sentiero.

martedì 2 marzo 2010

DIFFUSIONE BUDDISMO IN EUROPA

 l Buddhismo è la terza religione per diffusione in Italia, dopo il Cristianesimo e l'Islam: esso conta infatti, secondo i dati Cesnur pubblicati nel 2002 circa 74.000 credenti. Per Baumann rappresentano invece lo 0,1% della popolazione totale italiana. Da considerare, visto il numero di immigrati che professano questa fede religiosa (circa 50.000 nel 2004), che questi dati potrebbero essere ampiamente sottostimati.
In Italia sono presenti due importanti associazioni buddhiste con diverse sedi sul territorio nazionale:
Nell’accettazione del buddismo possiamo distinguere tre diverse fasi, seguendo le indicazioni di Martin Baumann: la prima fase è caratterizzata dall’interesse per il buddismo a livello però puramente teorico da parte di alcuni filosofi,quali Ralph Waldo Emerson, fino a Arthur Schopenhauer che è stato definito “il precursore del buddismo in Occidente”.
La seconda fase è data dopo la fondazione della Società Teosofica nel 1875. Dopo questa data cominciano a verificarsi in Occidente vere e proprie “conversioni” al buddhismo. Per alcuni si tratta ancora di una religione che si contrappone al cristianesimo. Il primo monaco italiano fu Salvatore Cioffi, ordinato nel 1925.
La terza fase del buddhismo occidentale, con la nascita di vere e proprie comunità, comincia dopo la Prima guerra mondiale ed è caratterizzata dal contatto sempre più frequente fra maestri orientali.
Si può parlare così di un’esplosione di interesse per il buddhismo tibetano che va dagli anni '60-'70 soprattutto negli ambienti della controcultura hippie. Questo successo passa anche per la letteratura e il cinema, dal Siddhartha Siddartha di Hermann Hesse a film come Piccolo Buddha, Sette anni in Tibet e Kundun. Questi spunti letterari e cinematografici - insieme con la notorietà del XIV Dalai Lama - hanno sicuramente favorito anche la diffusione del buddhismo in Italia.
La presenza buddhista in Italia comincia a farsi notare nel 1960, con la fondazione a Firenze dell’Associazione Buddhista Italiana e con la pubblicazione dal 1967 della rivista Buddhismo Scientifico.Vincenzo Piga si pone a capo dell’Unione Buddhista Italiana (U.B.I.). La firma da parte dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema dell’Intesa fra lo Stato italiano e l’U.B.I., nel 2000, pure non ancora ratificata dal Parlamento, consacra e conferma la crescita del buddhismo nel nostro Paese. L’evoluzione del buddhismo in Italia èstata possibile anche grazie al coordinamento tra i centri buddhisti di tutte le tradizioni presenti in Italia che sentono la necessità di unirsi e cooperare promuovendo il dialogo interreligioso, l’incontro con le istituzioni culturali e promuovono attività didattiche sul buddismo. L’U.B.I è stata riconosciuta come ente religioso con personalità giuridica e riunisce i quarantaquattro maggiori centri italiani e i loro affiliati secondo le tradizioni Theravada (sud-est asiatico) Mahayana Zen (Estremo Oriente), Vajrayana (Tibet) che sostengono la pratica e la diffusione dell’insegnamento spirituale storico (Shakyamuni Buddha).