domenica 29 novembre 2009

TRASFORMARE (karma)

L'elemento dinamico della vita è quello che conta di più, perché è la realtà come appare agli occhi del Budda


È una questione di priorità: cosa viene prima, cosa importa di più?
Le cause o gli effetti?
Capita spesso di identificare la nostra vita con gli effetti che viviamo: sto bene se vivo cose belle, sto male se vivo cose brutte.
Eppure il Buddismo dice che la cosa più importante sta nel mettere cause piuttosto che nel concentrarsi sugli effetti. Il Buddismo, cioè, identifica la vita nell'elemento dinamico, in quella cosina misteriosa e bellissima che distingue una cosa ferma da una cosa in movimento. La vita, intesa in questo modo, è proprio quel guizzo, è la possibilità di "trasformare" in ogni istante le cose che ci accadono.
Penso alla teoria buddista dei dieci mondi.
Cosa viene prima, cosa importa di più?
I dieci mondi o il mutuo possesso dei dieci mondi?
Noi, cominciando a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin, impariamo presto a riconoscere quando, nella nostra giornata, stiamo vivendo il mondo d'Inferno, o quello di Avidità, il mondo di Animalità, o quello di Collera e via dicendo. Ma la cosa più importante non è "sapere" in che mondo ci troviamo. È servirsi di quel sapere per usare la vita al suo massimo potenziale. Come utilizzo lo stato d'animo che sto vivendo: lo lascio lì, come un pacchetto doloroso e buio o lo affronto per trasformarlo in qualcos'altro, magari una crescita, magari la felicità?
Il mutuo possesso dei dieci mondi dice che non importa quale mondo stiamo vivendo, se l'Inferno o l'Estasi. Importa cosa ne facciamo. Perché qualunque mondo può essere bello, perché ogni condizione vitale, dalla più bassa alla più alta, ha, dentro di sé, il mondo di Buddità.
C'è la Buddità nell'Inferno, e nell'Animalità o nella Collera, c'è la Buddità nel mondo di Studio e in quello di Estasi. Non ci sono mondi buoni e cattivi, se c'è quel guizzo, se c'è l'intenzione di trovare lì dentro il mondo di Buddità.
Non una visione statica dunque, ma, anche qui quel movimento misterioso e bellissimo che è la vita autentica, la possibilità di trasformare.
Anche quando parliamo di karma corriamo lo stesso rischio.
Quello, cioè, di identificare il karma con una visione statica. Inamovibile. Il karma come un macigno pesante e tozzo. Il karma identificato con le cose che ci accadono. Stando così le cose è karma la tendenza a incontrare un certo tipo di persone, un certo tipo di difficoltà, un certo tipo di malattie.
Ma cosa viene prima, cosa importa di più?
Il karma o la trasformazione del karma?
Il Buddismo mette l'accento sulla trasformazione.
Il karma non sono solo le cose che ci capitano. Karma è soprattutto come reagiamo alle cose che ci capitano. Il karma non è riconoscibile solo dagli effetti (mi ha lasciato, mi sono ammalata, mi hanno derubato, non ottengo quel che desidero, non riesco ad avere figli, non ho soldi, non ho lavoro...).
Quando ci si para davanti un ostacolo succede qualcosa, qualcosa che è diverso per ognuno di noi. Lì si manifesta il karma.
Il karma, nella visione dinamica del Buddismo, è soprattutto "come" reagiamo alle cose. Lì c'è il cambiamento, la trasformazione.
C'è una parolina giapponese che la definisce. È soku.
Soku definisce la condizione di qualcosa che è già anche qualcos'altro.
Come il brutto anatroccolo e il cigno, come il bruco e la farfalla, o un bocciolo e la rosa aperta tutta.
Per aiutare a comprendere questo principio, T'ien-t'ai elaborò l'analogia del kaki acerbo e del kaki maturo. Un kaki acerbo, esposto alla luce del sole, si trasforma in un frutto maturo. Il frutto acerbo e quello maturo appaiono diversi, eppure è all'interno dello stesso frutto che ha luogo la trasformazione. Nessuno può dire che il kaki acerbo sia uguale a quello maturo, ma non è possibile neppure dire che siano diversi tra di loro.
Io piena di rabbia o di paura, e io capace di coraggio e allegria. La stessa persona. Quello che si può dire è che entrambe le qualità esistono nello stesso frutto, nello stesso corpo. E sono, allo stesso tempo, in contraddizione e unite. Certamente la trasformazione avviene anche in virtù d'influenze esterne, come la luce o la temperatura nel caso del kaki, ma resta il fatto che il frutto in sé, così come ognuno di noi, possiede quel potenziale, quel guizzo, che rende possibile la trasformazione.
Questa interpretazione di soku consente di riferirci a una visione della vita come appare agli occhi del Budda. La vita in sé, anche la nostra, possiede il potenziale per sviluppare una condizione vitale elevata che integra la contrapposizione che c'è tra desideri e Illuminazione. Secondo l'insegnamento di Nichiren Daishonin, la pratica di Nam-myoho-renge-kyo consente a ciascuno di noi di far emergere la forza vitale del Budda, grazie alla quale è possibile risolvere l'opposizione tra ciò che appare contraddittorio.
Come la paura e la possibilità di farcela, come il ritrarsi o l'affrontare, come i desideri e l'Illuminazione.
La Legge è compassione e armonia.
Noi abbiamo la capacità di trasformare il nostro karma.
Questa trasformazione avviene assai più facilmente e rapidamente se indirizziamo i desideri non solo per noi, facendo entrare nell'orizzonte della rivoluzione umana la visione più ampia e luccicante della trasformazione del mondo che abbiamo intorno.
Il tempo buddista non è il tempo fisico fatto di ore, giorni e anni. È il tempo dell'istante che racchiude l'eternità. È il tempo del cambio qui e ora, avvolta dai problemi, che non sono il mio karma-macigno.
Praticare Nam-myoho-renge-kyo può rendermi capace di sorridere mentre tremo di paura o resistere alla voglia di scappare e non affrontare quello che mi succede. Sorridere mentre penso alla vita in quest'istante. So che al di là di quello che ho fatto finora conta davvero cosa farò da qui in poi, da ora in avanti.

sabato 28 novembre 2009

LE TRE CHIAVI DELLA FORTUNA

Nella filosofia buddista la fortuna che derivadalla pratica è definita come la protezione delle funzioni vitali (shoten zenjin). Alla luce degli scritti di Nichiren Daishonin è possibile evidenziare tre fattori che attivano questo tipo di fortuna. Sono aspetti totalmente dipendenti dalla volontà e dall’impegno dei fedeli: la pratica, la fede e l’altruismo

Secondo gli antichi greci la sorte del mondo dipendeva in ultima analisi dal fato, concepito come potenza superiore agli stessi dèi. Il fato rappresentava la necessità inconoscibile, e pertanto apparentemente casuale, che regolava l’accadere degli eventi secondo un ordine non modificabile dall’essere umano.
Con il nome Fortuna, invece, era venerata a Roma e nel mondo latino un’antica divinità italica, più tardi identificata con la greca Tyche (letteralmente “ciò che capita”). La dea, detta anche Primigenia, era la madre primordiale che aveva dato origine al mondo: ogni trasformazione attuale, ogni evento o nascita, venivano rimessi alla Fortuna, quale madre di tutte le forme di realtà. Alcuni studiosi hanno identificato nel-la parola Fortuna la radice fero che indica fecondità e fertilità. Altri hanno messo in luce la derivazione etimo-logica da fors, che significa “caso”. Nella tradizione, comunque, vengono riportati entrambi i significati.
L’antica divinità latina era considerata arbitra del destino umano: distribuiva infatti ciecamente felicità, benessere, ricchezze, oppure infelicità e sventure.
Nel Medioevo la Fortuna era rappresentata a cavallo di una ruota: l’individuo la ascende, raggiunge il culmine e inesorabilmente ricade. Dante, nell’Inferno, la immaginò come un’intelligenza celeste ordinata da Dio, «general ministra e duce» dei beni mondani che ella assegna ora all’uno ora all’altro, seguendo il suo incontrastabile giudizio.
Il Rinascimento, considerando il rapporto attivo dell’essere umano con la For-tuna, mise in rilievo la sua inafferrabilità, rappresentandola come una giovane donna che volteggia in una barchetta o addirittura in piedi su un delfino.
Comune denominatore di queste visioni è un essere umano che osserva i mutevoli aspetti della Fortuna, ma non riesce a spiegarne le cause.
Ancora oggi nella nostra tradizione questa impostazione concettuale è rimasta invariata. Nessuno è in grado di comandare la buona sorte o di ingraziarsene i favori. Eccezione fatta naturalmente per maghi e stregoni che non a caso ancora oggi nel terzo millennio vanno per la maggiore.

Ma diamo un’occhiata a oriente.
Il carattere cinese di fortuna significa “protezione degli dèi”. In giapponese fortuna si dice fuku, un unico ideogramma che generalmente indica qualcosa che ci fa sentire felici. Nel Buddismo, invece, fuku è uno dei nomi con il quale viene indicato il beneficio che si ottiene con il Gohon-zon, o anche il suo potere, la sua forza. La differenza con la tradizione occidentale è immediatamente evidente: la possibilità di modificare il proprio destino è nelle mani dell’essere umano.
Nel Gohonzon è scritto fuku ga jugo, che significa “la fortuna ottenuta praticando è superiore ai dieci nomi o virtù del Budda”.
Nella filosofia buddista la fortuna ottenuta mediante la pratica è definita come la protezione degli shoten zenjin.
Cosa sono gli shoten zenjin? Sono gli dèi o divinità buddiste che, secondo la tradizione, si riunirono per ascoltare Shakyamuni predicare il Sutra del Loto e giurarono in quell’occasione di proteggerne i seguaci. Più precisamente sono i poteri protettivi latenti nei fenomeni naturali dell’universo e nella vita individuale, che vengono attivati dalla pratica buddista. Sono forze positive che fanno funzionare la Legge della vita in nostro favore, per la nostra felicità.
Queste funzioni latenti nella natura, descritte dalla filosofia buddista, nella tradizione giapponese hanno preso il nome delle antiche divinità locali. Bonten che governa il cielo, Taishaku dio del tuono, Nitten dio del sole, Gatten della luna, e così via, sono la personificazione di tali funzioni.
Alla luce degli scritti di Nichiren Daishonin è possibile evidenziare tre fattori che attivano la protezione degli shoten zenjin. Sono tre aspetti della pratica buddista, totalmente dipendenti dalla volontà e dall’impegno dei fedeli, all’aumentare dei quali cresce la protezione dell’ambiente.
Sono la pratica, la fede e l’altruismo.

La recitazione del Daimoku

«Il quinto volume del Sutra del Loto afferma: “... Giorno e notte, per amore della Legge, gli dèi lo proteggeranno sempre”. Secondo questo brano del sutra, Daibonten, Taishaku, gli dèi del sole e della luna, i quattro Re celesti e tutte le altre divinità benevolenti daranno giorno e notte la protezione a chi recita Nam-myoho-renge-kyo» (Protesta al bodhisattva Hachiman). È possibile evidenziare tre principali benefici della recitazione del Daimoku: la saggezza, la forza vitale e, come dicevamo, la protezione degli shoten zenjin.
Nella raccolta degli insegnamenti orali Nichiren chiarisce che dal punto di vista del principio buddista di inseparabilità della vita e del suo ambiente (esho funi), i risultati della nostra pratica si manifestano sia come saggezza, che indica la riforma della vita umana (shoho), sia come fortuna, che è la riforma dell’ambiente (eho).
Ma mentre la saggezza, così come la forza vitale, si manifesta contemporaneamente o immediatamente dopo la recitazione del Daimoku, la protezione delle divinità buddiste si manifesta solo quando il praticante compie l’azione. Affinché gli shoten zenjin si mettano in moto occorre che, dopo aver recitato Daimoku con un obiettivo, ci adoperiamo concretamente per realizzarlo.
Si dice che gli shoten zenjin si cibino di Daimoku, cioè diventano forti se li alimentiamo con la nostra pratica. Se però recitiamo Nam-myoho-renge-kyo senza passare all’azione, per riprendere una divertente lezione di Mitsuhiro Kaneda, presidente dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, essi ingrassano e divengono pigri. Quindi non portano nessun beneficio al praticante. Naturalmente non dovranno essere neppure troppo magri. Affinché funzionino a nostro vantaggio devono essere potenziati dal Daimoku e resi operanti dalle nostre azioni.
Scrive Nichiren nel Gosho Sulle preghiere: «Perfino un devoto del Sutra che sia incapace, che manchi di saggezza, che abbia un corpo impuro o che non osservi i precetti, sarà sicuramente protetto finché recita Nam-myoho-renge-kyo» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 9, p. 183).

La fede

«Nell’ottavo volume del Maka Shikan e nell’ottavo volume del Guketsu di Miao-lo si afferma: “Più forte è la fede di una persona, maggiore è la protezione degli dèi”. Questo vuol dire che la protezione degli dèi dipende dalla forza della fede di una persona. Il Sutra del Loto è una spada affilata, ma la sua forza dipende da chi la impugna» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 6, p. 183).
La fede è quindi un altro fattore decisivo che determina la protezione delle divinità buddiste. Essa, infatti, attira la protezione funzionando proprio come una calamita. Nel Gosho di Capodanno Nichiren afferma: «Coloro che credono nel Sutra del Loto attireranno la fortuna da mille miglia lontano». «Per esempio – ha spiegato Kaneda alcuni anni fa commentando questo brano – dopo una decina di anni di pratica chi ha un negozio o una qualsiasi attività commerciale può sperimentare un notevole miglioramento negli affari. Quando si accumula fortuna i clienti arrivano da soli. Invece, finché la fortuna manca, bisogna cercarli. Io stesso ho questa esperienza: all’inizio della mia attività ero io a cercare i clienti, mentre adesso sono loro che mi cercano. Come è potuto avvenire questo cambiamento? Dopo aver praticato per diversi anni, ho accumulato fortuna. Perciò chi ha problemi finanziari deve sviluppare la capacità di attirare fortuna, proprio come una calamita» .
Nei momenti difficili quindi, quando si attraversa una crisi economica o lavorativa, bisogna tornare alla fede e migliorare ancora il proprio atteggiamento.
«Se uno conserva una fede salda – spiega il Daishonin a una discepola in difficoltà – certamente la protezione dagli dèi sarà grande. Lo dico per il tuo bene. La tua fede nel passato è stata sincera, ma ora devi avere una fede ancora più forte di prima. Allora riceverai una protezione sempre maggiore da parte delle dieci divinità» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, p. 156).
Nel Gosho La strategia del Sutra del Loto Nichiren Daishonin parla di fortuna: «Quando una persona ha esaurito la propria buona fortuna, qualsiasi strategia sarà inutile. Quan-do avrà esaurito i propri benefici, neanche i suoi seguaci la seguiranno più. Perciò devi raccogliere più che mai il potere della tua fede. Non rimproverare gli dèi se esaurisci la tua buona fortuna e perdi la loro protezione».
Ma c’è un altro aspetto della fede sul quale occorre riflettere. È l’atteggiamento con il quale ci prendiamo cura di noi stessi, apprezzando e rispettando la nostra vita che è il più prezioso di tutti i tesori. Anche questo determina la protezione che riceviamo dall’esterno.
Quanto curiamo la nostra vita? Quanto la proteggiamo da eventuali incidenti? Esiste una relazione tra l’atteggiamento con il quale rispettiamo e riveriamo la nostra vita e la protezione che essa ci assicura. Nichiren chiarisce a questo proposito: «Un importante principio buddista dice: “La fragranza interna riceverà protezione dall’esterno”» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 172).
Facciamo un banalissimo esempio concreto. Prendiamo una persona che possiede un’automobile ma che non si occupa di renderla sicura ed efficiente. Non sostituisce i copertoni se si logorano o non controlla i freni pensando magari: «Non c’è bisogno; pratico il Buddismo quindi sarò sicuramente protetto». Ecco, questo atteggiamento non garantisce nessuna protezione. Se al contrario tengo in gran conto la mia vita e di conseguenza la proteggo da possibili incidenti curando l’efficienza e la sicurezza della mia auto, sicuramente otterrò la protezione degli shoten zenjin. Questo perché ogni aspetto della nostra vita, primo fra tutti l’atteggiamento verso la nostra e l’altrui esistenza, ha un riflesso sul nostro ambiente.
Scrive il Daishonin ne Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza: «Sia che tu invochi il nome del Budda, che reciti il sutra o che semplicemente offra fiori o incenso, tutte le tue azioni virtuose costituiranno la causa per i benefici e per la fortuna nella tua vita. Con questa convinzione devi mettere la tua fede in pratica» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 5).

L’altruismo e la pratica per gli altri

«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci rende degni di rispetto» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 272).
Cosa intende il Daishonin dicendo che «la sfortuna viene dalla bocca»? Il modo con il quale ci rivolgiamo agli altri determina la nostra sfortuna o la nostra fortuna. Se offendiamo, disprezziamo, calpestiamo la vita delle altre persone avremo una risposta dal nostro ambiente. Se usiamo il cuore apprezzando gli altri, sostenendoli, incoraggiando e aiutando i nostri vicini ne avremo un’altra. Spiega Nichiren che quando una persona si inchina di fronte a uno specchio l’immagine riflessa nello specchio si inchinerà verso di lui. La risposta che otteniamo dal nostro ambiente non deriva dai capricci di una dea bendata, né tantomeno dal caso. Se ci accorgiamo di non essere in un periodo fortunato, se l’ambiente non ci protegge, controlliamo il nostro egoismo e apriamo la vita agli altri. Perché, come dice Nichiren, «la fortuna viene dal cuore...».
L’armonia col nostro ambiente è determinata dall’atteggiamento che abbiamo con tutto ciò che ci circonda. Innanzitutto con le altre persone, ma anche con l’ambiente naturale e gli oggetti. Così come noi ci rapportiamo al mondo, a sua volta il mondo, cioè l’immagine riflessa nello specchio, si rivolge a noi. Se noi ci inchiniamo alla vita, cioè la rispettiamo, la amiamo e la sosteniamo, la vita si inchinerà verso di noi.
Scrive inoltre Nichiren nel Gosho Curare la malattia: «La natura fondamentale illuminata si manifesta negli dèi buddisti Bonten e Taishaku, la natura fondamentale oscurata si manifesta come il Demone del sesto cielo. Gli dèi benevoli odiano gli uomini malvagi e gli spiriti maligni odiano gli uomini buoni» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, p. 78).
In particolare insegnare alle persone a praticare e sostenerle durante il loro percorso di fede è l’azione altruistica che Nichiren più spesso sottolinea. Curare i propri compagni di fede è la fonte di immensa fortuna.
Scrive infatti il presidente della Soka Gakkai Daisaku Ikeda: «Dedicandoci al Buddismo, alla felicità degli altri, possiamo conseguire la Buddità, una gioia inesprimibile. Il Daishonin afferma: “Gli dèi buddisti si manifesteranno sicuramente come uomini e donne e faranno offerte al devoto del Sutra del Loto”(Gosho Zenshu, p. 738). “Devoto del Sutra del Loto” si riferisce anche a coloro che lavorano per kosen-rufu. Quando intraprendiamo delle azioni che onorano la Legge mistica, gli dèi buddisti in veste di esseri umani si manifestano per proteggerci. Ma dèi buddisti sono anche le funzioni della natura, come l’acqua o il vento: possono assumere qualsiasi forma benefica. Quando il Daishonin dice: “Essi si manifestano come uomini e donne” vuole indicare quelle persone che intorno a noi ci aiutano. È facile riconoscerli nel sostegno offertoci dai nostri amici membri. Il loro manifestarsi è così confortante, gli amici che ci aiutano sono gli dèi buddisti che ci vengono in soccorso. Se lavoriamo duramente per sostenere e incoraggiare mille, diecimila amici, mille, diecimila dèi buddisti ci proteggeranno» .
(Lodovico Prola)

sabato 15 agosto 2009

10 FATTORI: ichinen sanzen

Principi fondamentali:

a cura di Luca Pouchain

Se la teoria dei dieci mondi e del loro mutuo possesso descrive gli stati vitali possibili e la loro esistenza, il principio dei dieci fattori spiega la realtà e il suo divenire. Perché è attraverso i dieci fattori che ciascuno dei dieci mondi e dei cento mondi si manifesta nella realtà dei tre regni dell'esistenza : tremila mondi in un singolo istane di vita, e questo è ichinen sanzen.

«Lo scopo della vita è costruire e consolidare uno stato di assoluta felicità, in cui si gode del solo fatto di essere vivi» scrive Daisaku Ikeda .
Parole semplici e comprensibili per descrivere ciò che il Sutra del Loto sostiene essere una saggezza che può essere «compresa e condivisa solo tra Budda», l'esperienza del risveglio alla «vera entità di tutti i fenomeni» (shoho jisso), la percezione della vera entità della nostra vita e di quella dell'universo.
Ottenere la Buddità significa percepire la natura profonda della propria vita, che è una cosa sola con tutti i fenomeni che compongono la realtà. «Se vuoi liberarti dalle sofferenze di nascita e morte che sopporti dall'eternità e raggiungere sicuramente la suprema Illuminazione in questa esistenza, devi risvegliarti alla mistica verità che è sempre esistita nella vita degli esseri umani - scrive Nichiren, ma spiega anche che - la padronanza degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte fino a che non percepirai la natura della tua vita. Se cerchi l'Illuminazione al di fuori della tua mente, qualsiasi disciplina o buona azione sarà priva di significato» .
Cosa vuol dire «percepire la natura della propria vita»? Quando ci alziamo la mattina, ci immergiamo nella realtà fenomenica che compone la nostra vita quotidiana, "armati" semplicemente della nostra consapevolezza. Entriamo in relazione con l'ambiente, che sia la nostra casa, il luogo di lavoro o di studio, e con diverse persone, siano esse familiari, amici o estranei. Secondo la teoria buddista l'esistenza individuale si manifesta concretamente nei tre regni, rispettivamente delle cinque componenti (il corpo e la mente), dell'ambiente sociale e di quello fisico .
Tra l'individuo e il suo ambiente esiste un'influenza reciproca, che si manifesta in modo differente a seconda dello "stato vitale", o consapevolezza individuale.
Uno "stato vitale" debole fa sì che l'influenza dell'ambiente prevalga su di noi, relegandoci negli stati vitali più bassi, i sei sentieri di Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità o Estasi, che a loro volta si riflettono nel nostro ambiente. Così la nostra vita appare come una foglia trasportata dal vento, oscillante tra la gioia e il dolore.
Come scegliere, allora, che tipo di vita vivere? Come cambiare il proprio destino? Come si può capire il meccanismo in base al quale la vita funziona, e farla funzionare come vorremmo? Come si può percepire il senso profondo della vita al di là dei fenomeni mutevoli che la riempiono? La risposta a queste domande viene dal principio di shoho jisso, la Legge che governa tutti i fenomeni che, nella pratica buddista, rappresenta la base per la trasformazione della realtà. Come scrive Ikeda, una vita basata sulla vera entità di tutti i fenomeni è una vita in cui si sperimenta uno stato di felicità assoluta: «Rallegrandoci di qualsiasi cosa succeda, siamo felici e fiduciosi del futuro. Come l'oceano che, anche quando in superficie infuria la tempesta, nelle sue profondità è sempre calmo, come il sole che continua a splendere al di sopra di un cielo coperto di nuvole scure, da qualsiasi circostanza noi possiamo creare valore e sviluppare il nostro stato vitale, godendo della nostra esistenza, nella sofferenza come nella gioia»

Nell'insegnamento del Daishonin è possibile attingere alla saggezza di shoho jisso credendo nel Gohonzon. La fede, che si concretizza nella pratica di recitare Daimoku, ci permette di attuare uno scambio di energia tra la nostra vita e quella dell'universo. Ottenere la Buddità vuol dire stabilire uno "stato vitale" grande quanto l'universo, grazie al quale potremo vivere ogni fenomeno, ogni avvenimento della vita come un beneficio. L'effetto della fede e della pratica è la consapevolezza di shoho jisso, attraverso la quale potremo costruire una vita piena di libertà interiore e compassione. Una vita illuminata.

I dieci fattori
Nel capitolo Hoben del Sutra del Loto c'è un brano, che leggiamo durante la pratica quotidiana, in cui Shakyamuni descrive la vera entità di tutti i fenomeni (shoho jisso) attraverso i dieci fattori. T'ien-t'ai «elaborò la fondamentale dottrina di ichinen sanzen (tremila mondi in un solo istante di vita) basandosi sulla parola shoho jisso, sui dieci fattori e sul mutuo possesso dei dieci mondi» .
Se la teoria dei dieci mondi e del mutuo possesso descrive gli stati vitali possibili e spiega la loro esistenza, anche se allo stato latente, nella vita che pulsa in un singolo istante, il principio dei dieci fattori spiega la realtà e il suo divenire, il movimento da uno stato vitale all'altro e la loro natura comune. In altre parole, ciascuno dei dieci mondi e dei cento mondi si manifesta nella realtà dei tre regni dell'esistenza attraverso i dieci fattori. Tutto questo avviene nel singolo istante presente, questo è ichinen sanzen.
I dieci fattori descrivono gli elementi che compongono la realtà. I primi tre fattori sono "statici", in quanto descrivono la realtà della vita, cioè l'essere, mentre i successivi sei fattori sono "dinamici", cioè descrivono il cambiamento della realtà, il divenire. Il decimo, la "coerenza dall'inizio alla fine", è il "collante" che unifica gli altri nove, i quali non sono in alcun modo scollegati o autonomi uno dall'altro. Se paragonassimo la vita a un motore, i primi tre fattori rappresenterebbero i "pezzi" che lo compongono, la realtà della vita così come è, mentre i successivi sei rappresenterebbero il suo funzionamento dinamico e la sua capacità di produrre lavoro. Il decimo fattore rappresenta il fatto che i pezzi del motore e la loro capacità di funzionare dipendono dal montaggio corretto, "coerente", dell'intero sistema.

I fattori "statici"
Il primo dei fattori "statici" è l'aspetto (so), la parte fisica e tangibile della realtà. Come scrive Nichiren nella Scelta del tempo «L'aspetto, il primo dei dieci fattori, è il più importante di tutti» . La sua importanza dipende dal fatto che l'aspetto, che comprende anche il comportamento, è la manifestazione della condizione interiore dell'individuo, e il progredire della sua rivoluzione umana si manifesta inevitabilmente attraverso un cambiamento nelle azioni concrete che egli compie.
Il secondo fattore è la natura (sho), la parte non visibile e non tangibile, costituita da quel complesso di pensieri ed emozioni chiamato "mente". Nichiren afferma: «La natura interiore è la mente», e anche: «Il secondo volume dell'Hokke gengi afferma: la natura interiore è eterna e inalterabile» . Infatti, anche se è vero che la mente e lo spirito di una persona cambiano in base a vari fattori (lo scorrere del tempo, l'influenza dell'ambiente, le esperienze), è però altrettanto vero che nella persona c'è qualcosa che rimane costante e inalterabile e che è costituito dalla sua personalità, dalla sua specifica individualità o natura.
Il terzo fattore è l'entità (tai), l'insieme dei primi due, in quanto racchiude sia l'aspetto fisico che spirituale come un foglio di carta che è composto da due facce. Nichiren definisce l'entità come la combinazione del nostro corpo e della nostra mente. Attraverso questo fattore viene pertanto superato il dualismo tipico della cultura occidentale che separa corpo e mente creando spesso tra le due parti un rapporto antitetico e conflittuale.
Questo fattore è la "via di mezzo", l'entità profonda che solo un Budda può percepire e di cui i comuni mortali possono solo cogliere le manifestazioni fenomeniche costituite dai primi due fattori (aspetto e natura).

I fattori "dinamici"
Descrivono il meccanismo che genera il flusso degli eventi, illustrano la formazione e il funzionamento del karma, la causa e l'effetto dei fenomeni materiali e spirituali della vita, cioè l'evoluzione dell'entità nel tempo.
Consideriamo ad esempio il "fenomeno" della nostra vita. Ikeda spiega il collegamento tra questi fattori: «La vita ha poi varie capacità (potere) che agiscono all'esterno (azione) creando una causa nel profondo della vita (causa), la quale, quando viene attivata da condizioni esterne (relazione o causa esterna), produce un cambiamento (effetto) sempre nel profondo della vita, che alla fine si manifesta all'esterno (retribuzione o effetto manifesto)»
In effetti ogni fenomeno possiede un potenziale latente ed espresso (potere e azione) e un'apertura al cambiamento (causa, effetto, relazione, retribuzione).
Vediamo adesso questi fattori separatamente.
Il potere (riki) indica l'energia potenziale della vita, che varia secondo lo stato vitale. T'ien-t'ai spiega che il potere è opera della perseveranza, cioè si accumula o varia in ogni istante, quindi nel tempo. Nichikan sostiene che il potere è la capacità di agire in ognuno dei dieci mondi .
Fondamentalmente esso indica le capacità latenti dell'aspetto fisico e spirituale dei fenomeni, e quindi della loro entità. Definisce quindi la capacità di agire, l'energia inerente alla vita per conseguire i suoi scopi.
Indica anche la direzione di ogni cambiamento dei fenomeni. Ad esempio il potere dell'Inferno è l'autodistruzione, quello dell'Avidità è il desiderio, quello dell'Animalità l'istinto e quello della Collera l'autoaffermazione, intesa come volontà di sopraffazione. La Tranquillità ha il potere del buon senso, dell'autocontrollo, mentre l'Estasi quello della gioia. Il potere dei tre veicoli è rappresentato dalla sapienza e dalla compassione.
Quando recitiamo davanti al Gohonzon, in cui sono riprodotti i dieci mondi, osserviamo la nostra mente (kanjin) e impariamo a riconoscere i dieci mondi nella nostra vita. Questo vuol dire imparare a riconoscere il nostro potere, cioè il potenziale consentito da ogni stato vitale. Il potere della Buddità è illimitato.
Il potere è la forza (o la debolezza) che stimola la vita di una persona, di ogni fenomeno, rappresenta la sua energia vitale innata, sia fisica che immateriale. Quando lottiamo per elevare il nostro stato vitale, stiamo cambiando il potere della nostra vita, stiamo imparando a scegliere il potenziale della nostra entità. Quando incoraggiamo o insegniamo il Buddismo a qualcuno, stiamo influendo sul suo potere.
Quando il potere si concretizza si trasforma in azione (sa), il quinto fattore. Secondo Nichikan l'azione è l'uso del pensiero, delle parole e del corpo per creare il bene o il male (ibidem).
L'azione si definisce in coppia con il potere, in quanto il rapporto tra questi due fattori è sincronico, cioè procedono di pari passo condizionandosi nella stessa unità di tempo. L'azione è in effetti la manifestazione concreta del potere.
È importante diventare consapevoli che grazie all'azione, cioè tramite pensieri, parole e azioni, si crea la causa karmica.
Non sempre tutte le potenzialità si trasformano in azione, perché le azioni dei fenomeni sono interconnesse a quelle degli altri fenomeni. Da questo possiamo dedurre due conseguenze pratiche.
Innanzitutto, il potere di uno stato vitale basso esprimerà un'azione conseguente, che potrà essere deviata, o influenzata, dall'ambiente in cui si esprime. Il potere di uno stato vitale più elevato esprimerà un'azione più forte, in grado di influenzare l'ambiente.
Questi due fattori spiegano anche, da un punto di vista teorico, la strategia del Sutra del Loto. Se un effetto negativo porta nella mia vita uno stato vitale di sofferenza, il mio potere e le mie azioni lo rispecchieranno. Ma se io prima di reagire a quest'effetto applico la strategia del Sutra del Loto, cioè se prima recito Daimoku, sia il mio potere che le mie azioni rispecchieranno il mondo di Buddità. Quando recito, pensiero, parole e azioni sono Nam-myoho-renge-kyo, e se lo sono le mie azioni lo diventa il mio potere, che influenzerà positivamente anche le azioni successive.

Causa ed effetto
I prossimi quattro fattori spiegano la legge di causa ed effetto (renge). «Il Buddismo insegna che ogni cosa nell'universo manifesta la Legge di causa ed effetto, di conseguenza nega non soltanto l'esistenza di un essere supremo, ma anche quella del caso. [...] In altre parole, il Buddismo afferma che non esiste effetto senza causa, e anche che ogni causa deve avere un effetto, indipendentemente dal tempo che esso impiega per manifestarsi»
Si distinguono due tipi di cause (interna ed esterna) e due tipi di effetto (latente e manifesto). L'interazione tra questi fattori spiega come si forma il karma e la possibilità di cambiarlo. Come chiarisce Ikeda, questi «quattro fattori spiegano in che modo le azioni di quest'io causano il cambiamento della sua condizione vitale dall'uno all'altro dei dieci mondi»
Il sesto fattore è la causa interna (in). Ogni azione (pensiero, parola o azione fisica) resta incisa nella profondità della vita (ottava coscienza) sotto forma di causa latente, che a sua volta produce un effetto latente dello stesso segno (positivo o negativo), coerente con lo stato vitale. È come un seme piantato nella vita, che sarà fatto maturare quando entra in relazione con una causa esterna
Il settimo fattore, la relazione, o causa esterna (en), è così definita in quanto esprime la relazione tra causa esterna ed effetto latente. È la funzione che collega la vita al suo ambiente e che permette all'effetto di divenire manifesto, di realizzarsi, così come consente la produzione di un nuovo effetto. Si può vedere come la connessione tra la vita e le influenze esterne.
L'ottavo fattore è l'effetto latente (ka).
All'interno della vita (ottava coscienza) ogni volta che si produce o si modifica una causa, simultaneamente si manifesta un effetto latente. Cosa distingue l'effetto latente dalla causa interna? «La causa interna è la tendenza che si è costruita dentro di noi fino al momento attuale, mentre l'effetto latente è la direzione futura della nostra vita considerata in questo stesso momento».
Rispetto alla causa interna, l'effetto latente rappresenta l'altra faccia di una stessa medaglia, e il fatto che sia successiva va inteso da un punto di vista logico, non temporale. Nichikan spiega che «ciò che la mente ha prodotto è la causa interna, ciò che produrrà è l'effetto latente. In realtà entrambe dimorano simultaneamente nella nostra vita» .

Il nono fattore è la retribuzione, o effetto manifesto (ho). La causa interna, imbattendosi in una causa esterna, fa sì che l'effetto latente si manifesti in una retribuzione karmica. L'effetto manifesto rappresenta l'evento positivo o negativo che si manifesta nella vita. Secondo T'ien-t'ai «l'effetto manifesto, che sia buono o cattivo, è una reazione visibile alla causa interna e all'effetto latente» (ibidem).
Questo fattore si esprime nel mondo fisico, mentre il principio di causalità descritto dagli altri tre fattori è legato al mondo spirituale. In pratica sono comunque concatenati, e la retribuzione nasce insieme alle cause, anche se viene percepita realmente in un momento successivo nel tempo. Questo vuol dire che la manifestazione dei fenomeni e il modo in cui li percepiamo non sono altro che il prodotto del karma, come l'immagine del nostro volto riflessa in uno specchio.
Il principio di causa ed effetto, o legge del karma, non deve tuttavia indurci al fatalismo. Se è vero, infatti, che le retribuzioni che sperimenteremo nella vita sono in gran parte già presenti nell'ottava coscienza come cause interne ed effetti latenti, è anche vero che esse non sono di per sé né positive, né negative, in quanto tutto dipende dallo stato vitale con il quale le affrontiamo. Quando si diventa consapevoli del principio di responsabilità contenuto nella legge del karma, questo si tramuta in un decisivo principio di speranza. Infatti, se tutto ciò che mi capita dipende soltanto da me stesso, ciò è vero sia in negativo che in positivo. Per questo la via maestra all'Illuminazione e alla pace del mondo corrisponde nel Buddismo a un profondo cambiamento interiore, che produrrà invariabilmente un cambiamento del destino personale e di quello del proprio ambiente.
Il decimo e ultimo fattore è la coerenza dall'inizio alla fine (honmatsu kukyo to), e sta a indicare che il complesso dei vari fattori è coerente e organico. Un aspetto infernale, ad esempio, ha una natura sofferente, un potere distruttivo e manifesta un karma negativo, mentre un aspetto di Budda ha una natura saggia, un potere illimitato e manifesta un karma positivo.
A un livello più profondo, tutti i fattori sono manifestazioni della Legge mistica. «Considerare ogni cosa come manifestazione di Myoho-renge-kyo è percepire la vera entità di tutti i fenomeni; questa è la saggezza del Budda. In un altro Gosho il Daishonin scrive: "I dieci fattori della vita sono Myoho-renge-kyo". Nam-myoho renge-kyo è la Legge fondamentale dell'universo [la vera entità] che incessantemente si manifesta come vita nei dieci mondi [tutti i fenomeni]. Chi si illumina alla Legge fondamentale dell'universo è un Budda e il suo stato illuminato è espresso nel Gohonzon: pertanto i dieci fattori indicano il Gohonzon» .
Quando preghiamo davanti al Gohonzon con fede, e la nostra saggezza si fonde con la realtà della Legge, la nostra vita quotidiana, illuminata da Nam-myoho-renge-kyo, rivela la vera entità di tutti i fenomeni. La vita dell'individuo, così come è, può manifestare Nam-myoho-renge-kyo, senza bisogno di fuggire dall'ambiente in cui si vive o di diventare diversi da ciò che si è. Ovunque noi siamo, comunque siamo fatti, abbiamo i dieci fattori nella nostra vita. Attraverso un'ardente preghiera diventiamo Budda della vera entità di tutti i fenomeni, capaci di realizzare pienamente la nostra missione.

Ichinen sanzen
I dieci mondi e il loro mutuo possesso, i tre regni e i dieci fattori costituiscono i principali elementi del sistema di ichinen sanzen, la dottrina dei tremila mondi in un singolo istante di vita che costituisce l'essenza del Sutra del Loto secondo la sistematizzazione fatta da T'ien-t'ai, maestro cinese del VI secolo d.C.
Ichinen tradotto letteralmente significa "una mente" o " un pensiero", e sta a indicare il vero aspetto della vita, la realtà fondamentale che si manifesta in un singolo istante. Sanzen significa "tremila", e indica i fenomeni dell'universo, dal punto di vista dell'insieme delle leggi invariabili in base alle quali la realtà fondamentale si manifesta. I due termini sono un altro modo di indicare shoho jisso, e riassumono una complessa e affascinante visione del mondo che spiega la mutua compenetrazione e interdipendenza tra tutti i fenomeni dell'esistenza e la realtà fondamentale della vita.
Tuttavia il Buddismo di T'ien-t'ai corre il rischio di preservare la purezza del Dharma a scapito della sua praticità. In altri termini, la sua pur corretta interpretazione è di difficile sperimentazione: e senza salvezza dalla sofferenza per tutti gli esseri umani, lo scopo originale del Buddismo, esemplificato dal voto del Budda di "rendere tutti gli esseri uguali a lui", perde significato. Nel Buddismo di T'ien-t'ai lo scopo della pratica era quello di cogliere la vera entità di tutti i fenomeni nella propria vita «osservando la propria mente» (kanjin). Anche per questo possiamo parlare di ichinen sanzen teorico.
Nell'ultimo giorno della Legge il Buddismo di Nichiren Daishonin, che materializzò nel Gohonzon l'ichinen sanzen concreto, non ci insegna solo la contemplazione della vera entità, ma recupera la forza originale del messaggio di speranza e trasformazione, rivelandosi come una filosofia di riforma e di progresso che mira a far risplendere in tutti i fenomeni della vita individuale e della società l'entità della mistica Legge (Nam-myoho-renge-kyo).
Nelle parole di Nichiren: «Vi sono due modi di percepire ichinen sanzen, uno è teorico, l'altro è reale: quello dei tempi di T'ien-t'ai e Dengyo era teorico, quello che io pratico adesso è reale, e, poiché questo modo di praticare è di per sé superiore, anche le difficoltà sono maggiori. Quello era l'ichinen sanzen di shakumon [insegnamento teorico], questo è l'ichinen sanzen di honmon [insegnamento concreto]; vi è fra i due una differenza di gran lunga maggiore di quella tra la terra e il cielo».
Nichiren riconosce che «la dottrina di ichinen sanzen deriva dai dieci fattori contenuti nel primo volume [secondo capitolo] del Sutra del Loto». Questa dottrina, che si riassume nei quattro caratteri di shoho jisso, in ultima analisi indica il Gohonzon.
Come Nichiren spiega nel Vero aspetto del Gohonzon, «questo mandala non è in alcun modo un'invenzione di Nichiren. È l'oggetto di culto che riproduce perfettamente il Budda Shakyamuni nella Torre preziosa e tutti gli altri Budda che erano presenti, così fedelmente come la stampa riproduce la matrice. [...] Questo è il vero oggetto di culto. Questa manifestazione è quello che indica il Sutra [del Loto] con la frase "tutti i fenomeni rivelano la vera entità" [shoho jisso]" .
Come il Gohonzon materializza la Legge della vita (Nam-myoho-renge-kyo), anche il principio di ichinen sanzen (concreto) rappresenta l'interazione continua tra il mondo dei fenomeni e la realtà fondamentale della vita, rivelando che ogni fenomeno esiste in un singolo istante di una vita individuale, e che perciò in ogni istante di vita è racchiuso un potenziale infinito.
Tecnicamente sanzen (tremila) si ottiene moltiplicando i dieci mondi per se stessi, in base al principio del mutuo possesso (10 × 10 = 100), moltiplicandoli per i 10 fattori (100 × 10 = 1000) e infine per i tre regni dell'esistenza (1000 × 3 = 3000). Dobbiamo però tener conto che una mappa non coincide mai con la realtà che descrive, e quindi questi elementi che abbiamo studiato separatamente, indicano alcuni aspetti del meccanismo di funzionamento della vita che servono a orientarsi "sul campo".
Quindi non è essenziale una perfetta comprensione intellettuale degli elementi di ichinen sanzen per poterne sperimentare la portata. La porta della Buddità è la fede. Se la realtà di shoho jisso e di ichinen sanzen può essere compresa solo da un Budda, come afferma il Sutra del Loto, il Buddismo di Nichiren insegna il principio di sostituire la fede alla saggezza, in quanto una fede corretta diventa di per sé saggezza.
Una metafora dal Gosho paragona i princìpi del Buddismo agli elementi necessari a costruire una nave, la nave che ci consente di attraversare il mare della sofferenza: «Solamente la nave di Myoho-renge-kyo ci permette di attraversare il mare della sofferenza... [il Budda] varò la nave sul mare della sofferenza. Spiegando le vele delle tremila condizioni sull'albero della dottrina della via di mezzo, il vascello, guidato dal vento favorevole di "tutti i fenomeni rivelano la vera entità", avanza sollevandosi sulle onde e trasporta tutti i credenti che, grazie alla loro fede pura, possono accedere alla Buddità».
Quindi, come spiega Nichiren, ichinen sanzen e shoho jisso sono le vele e il vento che fa navigare, ma è la fede che ci permette di salire a bordo e goderne.
Per questo il Daishonin non rivendica "meriti intellettuali", ma piuttosto la capacità di amare e la forza della fede nonostante gli ostacoli, come afferma nell'Apertura degli occhi: «Per quanto riguarda la comprensione del Sutra del Loto, io ho solo una minima parte delle grandi capacità possedute da T'ien-t'ai e Dengyo, ma per la mia capacità di sopportare le persecuzioni e per la mia grande compassione, credo che li farei vergognare» .
Lo stesso concetto è ripreso anche nel Gosho Risposta al signore Shijo Kingo: «Lasciando da parte per ora la questione della mia saggezza, ritengo che per le avversità che ho sopportato e le ferite che ho subìto in quanto alleato del Sutra del Loto, ho sorpassato persino il Gran Maestro T'ien-t'ai della Cina e sono stato superiore addirittura al Gran Maestro Dengyo del Giappone» .
La stessa vita di Nichiren è la dimostrazione di come la fede nel Gohonzon permetta di trasformare ogni veleno in medicina, e di quanto la pratica della vera entità possa rendere saldi nel trasformare la sofferenza.
Una volta compreso shoho jisso, diventa chiaro che la verità si trova nella stessa realtà. Questo punto di vista è il cuore di ichinen sanzen, è la via di mezzo del Buddismo tra una visione idealista e una materialista della realtà che ci permette di percepire che ogni aspetto della vita si accorda con la Legge di Nam-myoho-renge-kyo. In pratica la vera entità della vita (jisso) e tutti i fenomeni nei quali si esprime (shoho) sono due ma non due, e non possono esistere separatamente. Si rivelano nei dieci fattori che spiegano, come abbiamo visto, gli aspetti statici e dinamici della vita. Poiché i dieci fattori sono "coerenti dall'inizio alla fine" in ogni istante possono rispecchiare lo stato vitale di uno dei dieci mondi, e in base al principio del mutuo possesso, dei cento mondi. Infine il concetto dei tre regni spiega il motivo per cui non esistono due esseri viventi identici: non solo perché anche i tre regni rispecchiano i diversi stati vitali, ma anche perché esistono specificità che nascono nella vita di ogni individuo. Anche se siamo tutti un aggregato di cinque componenti, il funzionamento di queste ultime varia da individuo a individuo.
Ikeda spiega che: «La vera entità di tutti i fenomeni è fondamentalmente un principio di trasformazione del presente. [...] è la saggezza che ci permette di far scaturire lo stato di Buddità dalla nostra vita e di realizzare un mondo di pace e di tranquillità»
Questo perché il punto centrale spiegato da ichinen sanzen è che ogni vita contiene al suo interno il fondamentale potere alla base dei fenomeni dell'universo, che si rivela tramite il loro funzionamento.
La pratica ci permette di sperimentare che «la vita in ogni istante permea l'universo e si manifesta in tutti i fenomeni. Chi si risveglia a questa verità realizza la mutua compenetrazione tra la sua vita e tutti i fenomeni» .
Ed è quindi in grado di trasformare la realtà della propria vita, del proprio destino, del proprio ambiente. «La voce della Legge mistica, la nostra recitazione del Daimoku davanti a questo Gohonzon, richiama la natura di Budda che esiste in noi. Una volta risvegliata, la natura di Budda cerca di manifestarsi all'esterno e di conseguenza, che ne siamo consapevoli o meno, il sole dei dieci fattori del mondo di Budda sorge nel nostro cuore»

Comprendere il principio di ichinen sanzen vuol dire non concepire più la propria esistenza come separata, ma come entità interrelata armoniosamente con l'insieme della vita cosmica. Ma per vivere questo principio a fondo e poterlo usare per trasformare noi e il nostro ambiente serve sviluppare la nostra Buddità coltivando alti ideali, la massima determinazione e uno sforzo costante. «Comprendendo la saggezza della vera entità di tutti i fenomeni ogni difficoltà è un'opportunità preziosa e irripetibile, ogni tipo di karma negativo può essere trasformato in una missione splendida e luminosa. Quando avrete piena fiducia in questa verità sarete colmi di speranza. Ogni persona ed esperienza che incontrerete diventerà un tesoro unico e prezioso» .


giovedì 6 agosto 2009

martedì 28 luglio 2009

mercoledì 22 luglio 2009

lunedì 20 luglio 2009


Paura e coraggio

La paura. Insinua dubbi, frena, a volte attanaglia e impedisce la vita.
Per vincerla bisogna lottare, affrontare ogni evento dell'esistenza attivamente, senza fermarsi.
Questo è il coraggio.

Dal punto di vista del Buddismo ciò equivale a perseverare nella pratica della Legge mistica cercando nella profondità della propria vita il cuore del Budda, trasformando la causa della sofferenza che risiede dentro di noi.
Questo è il coraggio.


L'offerta del coraggio

Come vengono considerati la paura e il coraggio all'interno della millenaria tradizione buddista, dalla dottrina più antica (theravada), alla corrente mahayana, che indica nella ricerca dell'Illuminazione per sé e per gli altri la strada per sconfiggere

Questo è il mio pensiero costante:
come posso far sì che tutti gli esseri viventi
accedano alla via suprema
e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?

(Il Sutra del Loto, Esperia, p. 305)

Per il Buddismo, la condizione della sofferenza è causata dall'ignoranza della naturale realtà illuminata sia del vivente sia del non vivente. L'ignoranza è la causa profonda delle paure che condizionano l'esistenza: paura di fallire, di separarsi da chi si ama, paura della guerra, paura della morte e a volte del mondo.
A ben guardare, tuttavia, non tutte le paure limitano il raggiungimento della felicità. I bambini hanno naturalmente paura. La paura è dunque, ovviamente, necessaria alla vita. Altrettanto ovvio è che troppa paura nuoce alla vita.

La percezione quotidiana: un mondo di paura
Molti, troppi italiani soffrono per un eccesso di paura: nel 2000 gli ansiolitici sono stati i farmaci più venduti tra le specialità non rimborsabili, con una spesa farmaceutica pari a 751 miliardi delle vecchie lire (fonte: Ministero della Sanità). Sul sito www.ansia.info si trova scritto: «La prevalenza del disturbo di panico nella popolazione generale viene stimato tra l'1% e il 5%, mentre fino al 20% della popolazione generale avrebbe sperimentato attacchi di panico sporadici nel corso della propria vita. Il disturbo di panico è più frequente di 2-3 volte nelle donne rispetto agli uomini». Dunque, il panico non è un fenomeno marginale nella vita di ciascuno, vuoi perché se ne soffre, vuoi perché si intrattengono relazioni con chi ne soffre. Cosa vuol dire in termini pratici? Poniamo che il 5% delle persone che incontriamo soffra o abbia sofferto di attacchi di panico, e poniamo che ci capiti di incontrare anche solo venti persone al giorno, allora mediamente ogni giorno avremo incontrato almeno una persona che soffre o ha sofferto di attacchi di panico. Questi dati sono una spia accesa costantemente sul rosso nel quadro comandi della macchina in corsa delle nostre vite individuali e del nostro sistema Paese.
Come affrontare le paure secondo la prospettiva buddista? Per rispondere a questa domanda è utile inquadrare come il Buddismo abbia affrontato nel suo percorso storico il tema della sofferenza.

Il Buddimo theravada: eliminare la sofferenza eliminando gli attaccamenti
Secondo la dottrina del Buddismo antico o theravada, l'origine della sofferenza sarebbe da cercarsi nell'attaccamento ai desideri e alle passioni. La paura potrebbe così intendersi come conseguenza del non ottenere ciò che si desidera o di perdere ciò che si è ottenuto. Ad esempio: la paura di non diventare mai ricchi o benestanti, o la paura di non giungere mai a una posizione di rispetto nel proprio gruppo sociale. O per converso, la paura di perdere la propria ricchezza, la paura di perdere il proprio rango o la propria posizione sociale.
In base a tale dottrina, la comprensione della catena di cause ed effetti che determina la comparsa delle sofferenze può fornire l'occasione per porre fine al soffrire. In altre parole: eliminata la causa della sofferenza, eliminata la sofferenza. Poiché la causa della sofferenza è da cercarsi nel desiderio, o meglio nell'attaccamento ai nostri desideri, occorre agire drasticamente per sradicare gli attaccamenti scegliendo uno stile di vita particolarmente austero, come testimoniano le rigide regole monastiche del primo Buddismo.

Il Buddismo mahayana: la via del bodhisattva
Il Buddismo mahayana, pur riconoscendo l'essenziale vacuità di tutti i fenomeni, si pone fin dall'inizio in antitesi con una nozione puramente ascetica del vivere. La considerazione che qualsiasi oggetto del desiderio è comunque soggetto all'impermanenza non può esimere il credente dalla responsabilità di offrire agli altri esseri viventi una via, anzi "la Via", per ottenere l'Illuminazione, non esime l'individuo dall'adoperarsi per infrangere le catene causali che trattengono gli altri esseri in una condizione di prigionia esistenziale. Nel Buddismo mahayana si pone l'accento sulla natura relazionale della realtà: tutti gli esseri e tutte le cose sono in relazione tra loro, tutti i fenomeni sono interdipendenti. La sofferenza dell'individuo è legata alla sofferenza dell'ambiente in cui vive, la felicità della persona dipende dalla felicità altrui. La via per la salvezza è la pratica del bodhisattva, di colui che ricerca l'Illuminazione per sé e per gli altri.
Per attraversare il mare della sofferenza e approdare all'Illuminazione, i bodhisattva dovevano compiere sei pratiche, dette le sei paramita:
la pratica dell'offerta;
la pratica dell'osservare i precetti;
la pratica dell'essere tolleranti;
la pratica dell'assiduità;
la pratica della meditazione;
la pratica dell'ottenimento della saggezza.
La pratica dell'offerta - centrale nel Buddismo mahayana - comprende tre aspetti: la pratica dell'offerta materiale, la pratica dell'offerta alla Legge e la pratica dell'offerta del coraggio. Offrire coraggio significa liberare le menti altrui dalla paura e portare la pace.

La pratica dell'offerta del coraggio nella prospettiva del Buddismo di Nichiren Daishonin
La pratica dell'offerta del coraggio, ossia di liberare le altrui menti dalla paura, è di particolare importanza seguendo la prospettiva del Buddismo di Nichiren Daishonin.
In un brano del Gosho intitolato Il vero Oggetto di culto, una delle tante lettere che Nichiren Daishonin scriveva a beneficio dei suoi discepoli, si legge: «Il sutra Muryogi afferma: "[Chi abbraccia questo sutra] realizzerà naturalmente le sei paramita senza averle praticate» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, p. 232). Il presidente della Soka Gakkai internazionale Daisaku Ikeda, commentando il brano appena citato, scrive: «La prima delle sei paramita è "la donazione". Esistono tre tipi di donazione: la "donazione del tesoro", vale a dire le offerte materiali; la "donazione della Legge", cioè lodare e insegnare la Legge; e la "donazione del coraggio", che consiste nell'eliminare la paura e dare la serenità. Senza scendere in dettagli, vorrei soltanto sottolineare che le offerte materiali non sono l'unico tipo di donazione. I buddisti attribuiscono grande importanza alla lode e all'insegnamento della Legge, e alla capacità di allontanare la paura e di offrire pace alla mente. Limitati come sono, i beni materiali non possono offrire la salvezza definitiva e le offerte di questo tipo aiutano un individuo solo per un breve periodo di tempo. [...] è invece necessario offrire coraggio a coloro che, pur potendosi guadagnare la vita, cadono in una disperazione così profonda da perdere la volontà di vivere: il coraggio, infatti, elimina la paura e l'angoscia, e dà la speranza e la tranquillità» (D. Ikeda, La vera entità della vita, Esperia, 1996. p. 178). Una delle pratiche fondamentali per l'ottenimento della Buddità, vale a dire per la risoluzione delle sofferenze e, quindi, delle paure, è, dunque, dare coraggio e tranquillità di mente agli altri esseri. Ma come è possibile praticare l'offerta del coraggio se, per primi, si vive nell'ansia e nella paura? Il Sutra del Loto afferma, in modo rivoluzionario sia per il Buddismo theravada sia per il Buddismo mahayana, la possibilità concreta che chiunque, qualsiasi sia il suo status sociale o qualsiasi sia la sua condizione vitale, può manifestare la Buddità. Nel Sutra del Loto si legge:
«A quel tempo la fanciulla Drago porse al Budda un gioiello che aveva, prezioso come mille milioni di mondi: il Budda lo accettò immediatamente. La fanciulla Drago disse al bodhisattva Accumulo di Saggezza e al venerabile Shariputra: "Ho offerto questo prezioso gioiello e l'Onorato dal Mondo l'ha accettato: ciò non è forse accaduto rapidamente?". Essi risposero: "Sì, davvero rapidamente!". La fanciulla continuò: "Avvaletevi dei vostri poteri sovrannaturali e guardate come conseguo la Buddità. Sarà cosa persino più rapida!"» (Il Sutra del Loto, Esperia, p. 245).
L'affermazione del conseguimento istantaneo della Buddità era difficile da digerire per chi si era sottoposto a pratiche austere:
«Il bodhisattva Accumulo di Saggezza disse: "Quando osservo il Tathagata Shakyamuni, mi rendo conto che per innumerevoli kalpa egli ha portato avanti severe e difficili pratiche, accumulando meriti e virtù, cercando la via del bodhisattva senza mai riposare. Osservo che in mille milioni di mondi non c'è un solo luogo, forse anche piccolo come un seme di senape, in cui questo bodhisattva non abbia sacrificato il corpo e la vita a beneficio degli esseri viventi. Solo dopo aver fatto tutto questo, è stato in grado di completare la via della bodhi. Non posso credere che questa fanciulla nello spazio di un istante abbia effettivamente potuto conseguire la corretta illuminazione"» (ibidem, p. 243).
Una fanciulla, una bambina, aveva conseguito, così come era, l'Illuminazione - questo fatto era davvero inconcepibile per l'epoca! Ma come aveva fatto? Perché aveva ottenuto i benefici delle paramita - tra cui la capacità di donare coraggio, liberare dalla paura e donare la tranquillità di mente?
Il Sutra del Loto è scrittura e insegnamento che rivela nelle tre direzioni temporali - passato, presente e futuro - la natura fondamentale della Buddità inerente sia agli esseri senzienti sia agli esseri insenzienti. Al tempo stesso, predice la possibilità per tutti gli esseri di ottenere la Buddità nella forma presente. Tuttavia, leggendo il sutra non sembra essere affermata la pratica che rende praticamente possibile l'Illuminazione di tutti gli esseri. Nichiren Daishonin enuncia la pratica nascosta del Sutra del Loto: la pratica della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo. Nella prospettiva del Buddismo di Nichiren Daishonin la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo equivale a ottenere la Buddità allo stesso modo della fanciulla Drago. In particolare, grazie a una diversa percezione della realtà, si ottiene il beneficio di poter dare agli altri esseri tranquillità di mente privandoli della loro condizione di paura.
Solo grazie alla manifestazione dello stato vitale più alto una persona può percepire la propria e l'altrui paura come condizione transitoria. La paura non è più una morsa, ma una manifestazione temporanea della nostra vita che può illuminarsi. La manifestazione della Buddità nella nostra vita farà sì che l'individuo faccia della propria paura l'arma per donare serenità di mente agli altri esseri. L'offerta del coraggio può darsi, nella prospettiva del Buddismo di Nichiren Daishonin, solo percependo la natura illuminata, altrimenti qualsiasi buona azione sarà priva di significato: «Non devi mai cercare nessuno degli ottantamila insegnamenti di Shakyamuni e nessuno dei Budda e bodhisattva dei tre tempi e delle dieci direzioni al di fuori di te. La padronanza degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze mortali fino a che non percepirai la natura della tua stessa vita. Se cerchi l'Illuminazione al di fuori di te, qualsiasi disciplina, o buona azione sarà priva di significato» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 4).
Compiere buone azioni è naturalmente cosa buona. Ma non necessariamente il compiere buone azioni conduce alla strada della Buddità. Grazie alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo si può percepire la realtà come la realtà del Budda, e solo così si attua quanto scritto nel sutra Muryogi: «[Chi abbraccia questo Sutra] realizzerà naturalmente le sei paramita senza averle praticate»; solo così si potrà realizzare la pratica dell'offerta del coraggio.
Recitando Nam-myoho-renge-kyo possiamo verificare la natura illuminata della nostra vita e della vita che ci circonda in accordo con quanto scritto nel Sutra del Loto:

Quando gli esseri viventi assistono alla fine di un kalpa
e tutto arde in un grande fuoco
questa, la mia terra, rimane salva e illesa,
costantemente popolata di dèi e uomini.
Le sale e i palazzi nei suoi giardini e nei suoi boschi
sono adornati di gemme di varia natura.
Alberi preziosi sono carichi di fiori e di frutti
e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio.
Gli dèi suonano tamburi celesti
creando un'incessante sinfonia di suoni.
Boccioli di mandarava piovono dal cielo
posandosi sul Budda e sulla moltitudine.
La mia pura terra non viene distrutta,
eppure gli uomini la vedono consumarsi nel fuoco:
ansia, paure e sofferenze predominano ovunque
.
(Il Sutra del Loto, Esperia, p. 303).

Questa descrizione, nella sua parte finale, ben descrive la situazione odierna nella percezione comune. Eppure, nella parte iniziale, ci dice anche altro, che la pura terra del Budda giace incontaminata nelle nostre vite e può rivelarsi in noi stessi e nel nostro ambiente. Al di là delle apparenze esiste la Buddità, nascosta nei fenomeni.
Si provi a pensare all'evenienza della vita che più suscita timore: la morte. «I due ideogrammi della parola jigoku si possono leggere come "scavare una fossa nella terra". Per colui che muore si scava una fossa, questa è jigoku. Le fiamme della cremazione sono le fiamme della sofferenza incessante. La moglie, i figli e i parenti che si affannano intorno al morto sono i guardiani dell'inferno, gli aborasetsu. I lamenti dei familiari sono le voci dei guardiani dell'inferno. Il bastone lungo due shaku e mezzo è la mazza di ferro [dei carnefici]. I cavalli e i buoi [del carro funebre] sono i demoni con testa di cavallo e di bue e la tomba stessa è la grande fortezza della sofferenza incessante. Gli ottantaquattromila calderoni sono gli ottantaquattromila bonno. Il defunto che lascia la sua casa inizia il viaggio verso la montagna della morte, e la riva del fiume su cui sostano i suoi figli devoti è il fiume dei tre passaggi. È inutile cercare l'inferno altrove.
Coloro che abbracciano il Sutra del Loto possono cambiare tutto questo. Per loro l'inferno diventa la pura terra illuminata, le fiamme ardenti si trasformano nella torcia della saggezza del corpo di retribuzione del Budda, il loro cadavere diventa il corpo della Legge del Budda e l'abisso di fuoco diventa la "grande stanza della compassione" del corpo di manifestazione del Budda. Il bastone è il bastone della realtà della mistica Legge, il fiume dei tre passaggi è l'oceano di "nascita e morte sono nirvana" e la montagna della morte è il grande picco di "desideri terreni sono Illuminazione"» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, pp. 197-198).
Così scrive Nichiren Daishonin nel 1274 incoraggiando una credente di nome Goke-ama che aveva appena perso il marito. Il brano citato dà un esempio di come ciascun individuo possa, recitando Nam-myoho-renge-kyo, cambiare la realtà del proprio destino e del proprio ambiente. Con questo stato vitale è facile dissipare la paura delle altre persone. Chi recita non avrà timore, pur rimanendo la stessa persona che, prima di aver praticato il Buddismo di Nichiren Daishonin, era afflitta dalle proprie e dalle altrui paure. Percependo la Buddità naturalmente sarà in grado di praticare la paramita dell'offerta del coraggio.
Scrive Daisaku Ikeda: «Quando un essere umano recita Nam-myoho-renge-kyo fonde la propria vita con la Legge mistica e contemporaneamente entra in perfetta armonia con la grande vita cosmica. [...] Un brano di Risposta a Kyo'o afferma: "Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può essere di ostacolo? ... Ovunque tua figlia possa giocare sarà libera dalla paura come il re leone". Anche noi comuni mortali saremo infine in grado di ottenere lo stato di Illuminazione (che il suddetto brano sottintende) se coltiveremo la nostra fede basandoci sul Gohonzon. "Riceverete naturalmente i benefici delle sei paramita" significa proprio questo. Il defunto presidente Josei Toda diceva: "Combatterò per aiutare le persone a raggiungere quella condizione piena e possente che permetterà di vivere come più desiderano, immerse nel grande oceano dei benefici, indosserò l'abito della pazienza e brandirò la spada della compassione"» (D. Ikeda, op. cit., pp. 188-89).
Il Buddismo, nella sua storia, ha analizzato a fondo i fenomeni per capire e abbattere le cause della sofferenza. Al giorno d'oggi ci insegna che attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo si può guardare e gustare il mondo come il mondo di Budda e, grazie a questa consapevolezza, si è in grado di donare la tranquillità di mente a chi vede la «terra consumarsi nel fuoco» una terra dove «ansia, paure e sofferenze predominano ovunque». E si può rispondere alla domanda del Budda: «Come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?»

(Il Sutra del Loto, Esperia, p. 305).

(Renato Spaventa - tratto da "Buddismo e Società" n° 104 Giugno 2004 )




LA QUESTIONE AMBIENTALE dal punto di vista Buddista


La minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, emblema della crisi ambientale, impone un radicale cambiamento delle politiche energetiche nella direzione dello sviluppo delle fonti rinnovabili, verso cui tutte le nazioni dovrebbero cooperare


La minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, emblema della crisi ambientale, impone un radicale cambiamento delle politiche energetiche nella direzione dello sviluppo delle fonti rinnovabili, verso cui tutte le nazioni dovrebbero cooperare

Vorrei discutere il primo di questi tre punti con uno specifico riferimento alla questione del cambiamento climatico.
Il riscaldamento globale sta avendo un profondo impatto sugli ecosistemi esistenti, e oltre a essere il principale responsabile dei disastri climatici può contribuire ad aggravare i conflitti armati, la povertà e la fame. È veramente l'emblema della crisi del ventunesimo secolo.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ha indicato il cambiamento climatico come una delle questioni centrali di cui si dovrebbe occupare l'ONU, ha lanciato un monito: «Tuttavia, nel lungo periodo, nessuno, ricco o povero, rimarrà immune dai pericoli provocati dal cambiamento climatico».28 In altre parole, nessuno può rimanere spettatore: il cambiamento globale è un problema che riguarda tutti.
Il cambiamento climatico è una crisi "multidimensionale" che costituisce una minaccia per il futuro dell'umanità e porrà le generazioni future di fronte a tremende sfide.
Purtroppo dobbiamo constatare che lo scorso anno i negoziati sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra non hanno fatto registrare progressi significativi. È indispensabile che vengano avviate discussioni fruttuose in tempo utile per l'appuntamento di dicembre di quest'anno, la data entro cui si dovrà giungere a un accordo sul nuovo quadro di riferimento che sostituirà il protocollo di Kyoto in vigore fino alla fine del 2012. È cruciale che oltre al rinnovato impegno da parte dei paesi industrializzati, anche i paesi emergenti e in via di sviluppo svolgano un ruolo attivo nella definizione del nuovo accordo post-Kyoto.
La domanda che dobbiamo porci è in che modo possiamo mettere in campo azioni condivise.
La politica energetica è certamente un ambito attorno a cui è possibile costruire forme di cooperazione internazionale. Da una parte c'è la necessità di assicurare adeguate risorse energetiche ai paesi in via di sviluppo e a quelli emergenti, dall'altra la questione dell'energia nel suo complesso deve diventare la chiave di tutti gli sforzi che i paesi sviluppati devono intraprendere per attuare la transizione verso una società a "basso carbonio" e senza sprechi.
Considerando che quasi il sessanta per cento delle emissioni di gas a effetto serra sono prodotte dal consumo di combustibili fossili, mettere in campo azioni concertate a livello globale sulle politiche energetiche potrebbe essere un modo efficace per combattere il cambiamento climatico.
Il piano di stimolo economico e la strategia per la creazione di posti di lavoro predisposti dal presidente americano Barack Obama puntano alla creazione di nuove industrie e nuovi posti di lavoro in settori come lo sviluppo di fonti energetiche alternative, tanto che si è parlato di un "New Deal verde". Analogamente un crescente numero di paesi - compresi il Giappone e la Corea del Sud - stanno valutando o già attuando misure economiche d'emergenza tese a promuovere gli investimenti nei settori dell'energia e dell'ambiente.
Nella mia Proposta di pace dell'anno passato ho espresso l'auspicio che la competizione umanitaria diventi il cuore degli sforzi finalizzati a risolvere la crisi ambientale globale, e ho sollecitato l'adozione di misure e iniziative volte a incentivare l'energia rinnovabile e l'efficienza energetica, allo scopo di realizzare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili a una società a basso carbonio e senza sprechi. I recenti sviluppi suggeriscono che ci stiamo muovendo in questa direzione.
L'istituzione dell'Agenzia internazionale per la promozione delle energie rinnovabili (IRENA, International Renewable Energy Agency), nata grazie al sostegno di oltre cinquanta paesi, ne è un esempio. Questa organizzazione intergovernativa fondata a Bonn, in Germania, il 26 gennaio di quest'anno, intende promuovere a livello internazionale l'uso delle energie rinnovabili nei paesi industrializzati, in quelli emergenti e in quelli in via di sviluppo. Avendo io chiesto sette anni or sono l'istituzione di un organismo simile che si occupasse della promozione delle fonti di energia rinnovabile, accolgo con soddisfazione la creazione di questa nuova agenzia internazionale.
Riguardo alle problematiche connesse all'efficienza energetica, nel dicembre del 2008 i ministri con la delega all'energia di alcune nazioni, tra cui i paesi del G8, la Cina, l'India e il Brasile, hanno sottoscritto una dichiarazione comune per l'istituzione nel 2009 di un Accordo internazionale di cooperazione nell'ambito dell'efficienza energetica (IPEEC) e la collocazione del suo segretariato all'interno della Agenzia internazionale per l'energia (IEA, International Energy Agency).
Questi nuovi organismi devono essere pienamente operativi entro la fine del 2012, quando scadrà il primo periodo di azione del protocollo di Kyoto. In futuro potrebbero diventare un punto di incontro per costruire la cooperazione internazionale e giocare un ruolo chiave nell'attuazione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992.
Oltre a queste misure propongo che in futuro venga creata, sotto l'egida delle Nazioni Unite, un'agenzia internazionale per l'energia sostenibile che agevoli il lavoro di queste due organizzazioni (IRENA e IPEEC), affinché la cooperazione internazionale sulle politiche energetiche possa radicarsi profondamente in tutta la comunità mondiale.
Qualcuno potrebbe esprimere perplessità di fronte a queste iniziative, obiettando che il trasferimento di tecnologie avrebbe l'effetto di indebolire la competitività economica dei singoli paesi e che i costi per finanziare la cooperazione internazionale comporterebbero un ulteriore aggravio per i contribuenti. A mio avviso la cooperazione internazionale finalizzata all'obiettivo condiviso di invertire la tendenza al riscaldamento globale si accorda con il principio che Makiguchi considerava centrale per l'attuazione della competizione umanitaria: «Facendo del bene agli altri facciamo del bene anche a noi stessi». Infatti, partendo da questa prospettiva più ampia, gli sforzi volti a far del bene all'umanità nel suo complesso avranno conseguenze positive per ogni singolo stato.
Questa nuova agenzia per l'energia sostenibile può essere pensata come uno spazio per rafforzare la solidarietà e come un centro dove far confluire i suggerimenti provenienti dai governi locali, dal settore privato e dalle organizzazioni non governative, al fine di costruire una società globale sostenibile. Attraverso un sistema aperto di registrazione, tutte le organizzazioni interessate potrebbero documentare le proprie attività e le buone pratiche, che sarebbero poi rese disponibili in una banca dati presente su Internet, fornendo così una piattaforma per lo scambio di informazioni e le ricerche di partenariato.
Nel novembre del 2008 l'Istituto Toda per la pace globale e la ricerca politica, affiliato alla Soka Gakkai Internazionale, ha organizzato una conferenza dal titolo Affrontare il cambiamento climatico con una nuova etica ambientale. Tra i punti focali della conferenza, la necessità di creare delle sinergie fra i governi, il settore privato e la società civile, sulla base del loro comune senso di responsabilità verso le generazioni future. A tal fine, nel corso della conferenza è stata ribadita l'importanza di ottenere l'appoggio e la partecipazione attiva di ampi settori dell'opinione pubblica.
A partire dal 2002 la Soka Gakkai Internazionale ha organizzato la mostra I semi del cambiamento: la Carta della Terra e il potenziale umano in venti paesi e in otto lingue diverse, in collaborazione con la Carta della Terra. La SGI ha anche promosso dei progetti sull'ambiente, come per esempio programmi di imboschimento in diversi paesi del mondo, collaborando con organizzazioni che perseguono finalità simili. Le singole iniziative sull'ambiente sono molto preziose, tuttavia gli sforzi di cooperazione generano un notevole effetto moltiplicatore.
Quest'anno il Decennio delle Nazioni Unite per l'educazione allo sviluppo sostenibile sarà a metà del suo cammino; un'iniziativa importante che sottolinea la necessità di coinvolgere attivamente i cittadini comuni nelle attività educative e nelle campagne di sensibilizzazione.


Note

28) Ban Ki-moon, Human Development Report 2007/2008. Fighting Climate Change: Human Solidarity in a Divided World (Rapporto sullo sviluppo umano 2007/2008. Combattere il cambiamento climatico. La solidarietà umana in un mondo diviso), http://hdr.undp.org/en/media/HDR_20072008_EN_Complete.pdf (ultimo accesso 24 febbraio 2009), p. 23.

domenica 19 luglio 2009

KARMA


Buddismo e Società
Buddismo e Società n.86 maggio giugno 2001
Principi fondamentali:
Il karma, o legge di causa ed effetto

a cura di Sabina Guzzanti

Significa “azione compiuta” e indica contemporaneamente le cause e gli effetti che derivano dalle azioni, parole e pensieri della nostra vita quotidiana, buoni e cattivi, leggeri e pesanti, superficiali e profondi. Il karma: l’identikit di questo importante concetto buddista




«Se è la sofferenza che temi, se è la sofferenza
ciò che detesti,
non compiere mai azioni cattive,
perché tutto si vede per quanto segreto.
Persino un volo nell’aria
non ti può liberare dalla sofferenza
dopo che l’azione cattiva è stata commessa.
Non nel cielo, né nel mezzo dell’oceano,
né se ti nascondessi nelle crepe delle montagne,
un angolo riusciresti a trovare in questa
terra tutta,
dove il karma il colpevole non raggiungerebbe.
Ma se vedi il male che altri ti fanno
e se sentitamente tu disapprovi,
stai attento a non fare al medesimo modo,
perché le azioni delle persone con esse rimangono.
Quelli che imbrogliano negli affari,
quelli che contro il
Dharma agiscono,
quelli che frodano, quelli che truffano,
se stessi gettano in un gorgo,
perché le azioni delle persone con esse rimangono.
Qualsivoglia azione possa un individuo
compiere,
siano esse di gioia portatrici, siano esse cattive,
un’eredità per lui costituiscono,
le azioni non svaniscono senza lasciar traccia. (…)
Un’azione cattiva non necessariamente
causa subito a chi l’ha compiuta
un qualche guaio.
Essa nascostamente allo stolto superficiale
si accompagna,
proprio come un fuoco che giace sotto la cenere.
Proprio come una lama appena forgiata,
l’azione cattiva nell’immediato non provoca alcuna ferita.
Proprio il ferro produce la ruggine
che lentamente di certo lo consumerà.
Colui che il male compie,
dalle sue stesse azioni è portato
a una vita di sofferenza
».

Questi versi sono tratti dal Dharmapada, una delle scritture buddiste più antiche, e contengono probabilmente la prima enunciazione del concetto di karma.
Karma è una parola sanscrita che significa “azione compiuta”, ed è un termine generico designante gli effetti delle nostre azioni: le azioni fisiche che compiamo, le parole che pronunciamo e i pensieri che passano per la nostra mente. Ciascuna di queste tre azioni produce un effetto latente nella nostra vita, che causa successivamente un effetto manifesto. Quindi il karma indica contemporaneamente le cause e gli effetti derivanti dalle azioni, parole e pensieri che fanno parte della nostra vita quotidiana, buoni e cattivi, leggeri e pesanti, superficiali e profondi.
Secondo il Buddismo quindi tutti gli aspetti della vita sono legati fra loro dalla legge di causalità. Non solo ciò che è visibile e materiale, ma anche ciò che è invisibile.
Tutto ha una conseguenza. Non esistono azioni fisiche o spirituali che non abbiano prima o poi un effetto. Il nostro pensiero può essere invisibile a tutti, ma non è neutro per la Legge di causalità. Possiamo dichiarare cose che non faremo mai, ma quella dichiarazione produrrà un effetto.
Una stessa azione produrrà effetti diversi a seconda dello spirito con cui è stata compiuta. Si può offrire aiuto ad esempio per generosità o per umiliare qualcuno o per farsi pubblicità o per opportunismo. L’effetto che avrà sulla nostra vita sarà coerente con l’intenzione con cui abbiamo agito. Che riusciamo a ingannare gli altri o meno, che i nostri gesti abbiano il giusto riconoscimento o meno, il seme che abbiamo piantato germoglierà e potrà essere per noi fonte di nutrimento o di malessere a seconda della natura dell’azione che lo ha generato. Il presente, sia individuale che collettivo, è quindi generato dal karma accumulato nel passato.
Tuttavia quando abbiamo una sofferenza tendiamo a pensare che siano gli altri, o più genericamente “l’esterno”, a farci soffrire. Che ci sia un colpevole e che noi siamo le vittime. Secondo la visione buddista la realtà è diversa: dentro la nostra vita esiste una causa per quello che ci accade, ovvero noi siamo gli autori, gli altri sono solo dei complici, lo specchio che riflette il nostro karma.
Né la teoria del karma ci deve indurre a pensare che sia tutto già scritto e che ogni sforzo per migliorare la nostra condizione sia inutile. Se è vero che il presente è modellato dal passato, è vero pure che il presente modella il futuro. Per questo Nichiren Daishonin cita un brano del sutra Shinjikan: «Se vuoi conoscere le cause passate guarda i risultati che si manifestano nel presente, se vuoi conoscere gli effetti che si manifesteranno nel futuro, guarda le cause che stai ponendo nel presente».
Il presente è quindi la chiave di tutto. Difficile da afferrare, da descrivere, da comunicare (appena lo nomini è già passato), è la parte più pura e incontaminata della vita e in esso, secondo il Buddismo, è custodito un potere immenso. Infatti il principio di ichinen sanzen (tremila mondi in un singolo istante di vita), che lo studioso cinese T’ien-t’ai (538-597) formulò come spiegazione teorica di Myoho-renge-kyo, altro non è che la descrizione minuziosa di tutto ciò che contiene ogni singolo istante di vita, ovvero l’attimo presente. Dall’aspetto esteriore alle potenzialità, alla sua storia passata, alla sua particolare relazione col mondo, alla relazione del mondo con esso, a tutte le sue qualità, buone e cattive, costruttive e distruttive, alle diverse sfere dell’universo con cui entra in relazione, tutto questo e altro è contenuto in un singolo istante. T’ien-t’ai e i suoi coltissimi e dotati discepoli meditavano su questo principio per cercare di aprire la mente e renderla adeguata alla complessità della realtà.
Il presente è il luogo che tutti cerchiamo, l’unico che può darci sollievo e gioia.
Ma pur essendo lì alla portata di tutti noi, sono rari i momenti in cui riusciamo a starci dentro. È come se ci fossero mille correnti che ce ne allontanano. Queste correnti sono per l’appunto il karma.

Come nasce storicamente
Il Buddismo assorbe il concetto di karma, o Legge di causa ed effetto, dalla precedente tradizione induista. Nel Buddismo però lo stesso concetto è utilizzato con una funzione molto diversa.
Nella “Via della liberazione induista” l’essere umano, o meglio la sua anima, è destinata a seguire il ciclo delle rinascite (samsara), attraverso le quali entra a far parte della natura vivente come pianta o animale. Quando l’anima si diparte dal corpo al momento della morte, sosta per tre epoche prima di trasmigrare nel corpo di un altro essere vivente; la forma della nascita dipenderà, secondo la legge del karma, dalle qualità etiche delle azioni compiute nel passato. Nell’Induismo, quindi, l’ordinamento del mondo è fondato su un principio etico,fondato a sua volta sul karma o legge di causalità. Qui il karma però è senza inizio né fine. Le colpe commesse nel passato non si possono espiare se non dopo un ciclo lunghissimo di rinascite e mai durante l’esistenza presente. La legge di causa ed effetto viene quindi interpretata in senso fatalista. Se nasci povero vuol dire che te lo sei meritato e non ci puoi fare niente. La vita è vista come un mezzo per espiare le proprie colpe. La conseguenza politica di questo modo di interpretare l’esistenza è per esempio l’ordinamento in caste della società.
Shakyamuni diffonde e predica il Buddismo in aperto contrasto con questa visione del mondo. Sostiene che gli esseri umani hanno fondamentalmente tutti lo stesso potenziale e che la Legge di causa ed effetto va utilizzata per trasformare il proprio destino e non per subirlo. Questa Legge meravigliosa secondo Shakyamuni esiste per condurre le persone alla felicità e all’Illuminazione. La natura profonda di questa Legge è la compassione. La sua funzione non è quella di punire o sottomettere.
La prima sistematizzazione buddista del concetto di karma risale al V sec. d.C., quando il monaco Vasubandhu, appartenente alla corrente mahayana, espose il concetto della alayavijnana, o deposito (alaya) delle percezioni. Vasubandhu intuisce la presenza di una coscienza che funziona come deposito di tutte le nostre esperienze: un vero e proprio magazzino del karma. Fino ad allora nel Buddismo venivano individuati sei tipi di coscienze corrispondenti ai sei sensi: vista, udito, gusto, olfatto, tatto, e una mente cosciente. Vasubandhu individuò oltre a queste la coscienza manas (ragione) e quella alaya (deposito).
Lo studioso cinese T’ien-t’ai successivamente completò il quadro individuando una nona coscienza, la coscienza amala (pura), che Nichiren Daishonin identificò con Nam-myoho-renge-kyo.
Il sistema dei sei tipi di coscienza comportava che ciascun individuo percepisse il mondo esterno in base al particolare e soggettivo funzionamento della sua mente conscia; con Vasubandhu, grazie al sistema delle otto coscienze, tutte le persone del passato, del presente e del futuro possono percepire le cose in maniera pressoché identica. I semi dell’esperienza passata vengono sistemati infatti nella “coscienza-deposito”, e una volta influenzati da stimoli esterni mettono radici nel presente. Tutte le esperienze del mondo empirico sono quindi il prodotto di semi accumulati nell’ottava coscienza e richiamati in vita da stimoli esterni. Tutti gli esseri viventi sono in genere simili, possiedono depositi simili di semi e quindi sono propensi a percepire il mondo esterno in modo analogo.

Come si forma
Il Daishonin afferma che tutte le sofferenze, sia fisiche che spirituali, nascono dai tre veleni di avidità, stupidità e collera. I desideri terreni e le sofferenze che questi producono sono legati al karma. I desideri terreni, il karma e la sofferenza sono chiamati i tre sentieri.
I sentieri si snodano in questo modo: la sofferenza provoca tantissimi desideri i quali inducono ad azioni che creano karma negativo.
L’effetto del karma si manifesta di nuovo come sofferenza fisica o mentale, che a sua volta alimenta nuovi desideri. Il karma che si sviluppa da questi è sempre più negativo e il ciclo continua all’infinito.
Il punto critico di tutto questo processo sono i desideri. Desiderio in sanscrito si dice klesha e a volte è tradotto con “illusione”. Il termine indica tutte le funzioni che disturbano una persona a livello fisico e spirituale. Rappresentano il lato oscuro della vita e impediscono alle persone di ottenere l’Illuminazione.
Le illusioni si dividono in fondamentali e derivate. Le fondamentali sono: avidità, collera, stupidità, arroganza, dubbio e visioni distorte.
Quelle derivate sono: l’illusione che nasce dal considerare l’io come assoluto; l’illusione che nasce dal considerare la morte come il termine della vita; quella che nasce dal non riconoscere la legge di causalità; quella che nasce dall’attaccamento a idee sbagliate che fanno considerare superiori le cose inferiori; quella che nasce dal considerare pratiche e precetti erronei come veicoli per raggiungere la Buddità.
Nella prima parte della sua vita Shakyamuni predica vari insegnamenti per sfuggire ai desideri terreni e alle illusioni. I più noti sono l’insegnamento della dodecupla catena che spiega la relazione tra ignoranza e sofferenza, le quattro nobili verità e l’ottuplice sentiero. Negli ultimi anni della sua predicazione Shakyamuni espone il Sutra del Loto. In questo insegnamento rivela che, al contrario di quanto aveva sostenuto fino a quel momento, i desideri terreni non vanno estirpati ma trasformati in Illuminazione. Nel Sutra del Loto si legge: «Anche senza estinguere i desideri terreni essi possono purificare tutti i loro sensi ed estirpare i loro errori». E che: «Le sofferenze di nascita e morte sono nirvana».

Come può essere e come si manifesta
Il Buddismo esamina il karma sotto diversi aspetti dividendolo in varie categorie. Le principali sono: karma positivo, karma negativo, karma presente, karma passato, karma mutabile e immutabile, karma che si manifesta nella vita presente e karma che si manifesta dopo essere rinati in un tempo del remoto futuro.
Il termine karma positivo indica le azioni nate da buone intenzioni, dalla gentilezza e dalla compassione; il karma negativo si riferisce alle azioni indotte dai desideri terreni come stupidità, avidità e collera. L’Antologia dell’analisi della Legge e altri trattati tradizionali del Buddismo individuano dieci fondamentali atti malvagi che causano il karma negativo: le tre malvagità fisiche di uccidere, rubare e tenere un comportamento sessuale sregolato, le quattro malvagità verbali di mentire, adulare (o parlare superficialmente o a vanvera), diffamare e fingere, e le malvagità mentali di collera, avidità e stupidità (o rimanere attaccati alle visioni errate).
Il karma presente è il karma i cui effetti si manifestano nella vita presente. Il karma passato è quello formato in una vita precedente. Il karma immutabile produce un effetto prefissato nel tempo (un esempio di karma immutabile è la durata della vita), al contrario di quello mutabile il cui effetto e tempo non sono predeterminati.
Il karma più leggero può produrre il suo pieno effettonello stesso periodo di vita in cui è stato creato. Se le cause sono più pesanti esse continueranno a produrre sofferenza o gioia anche nella prossima esistenza.
Il karma può avere uno “spessore”. Aumenta se i pensieri si trasformano in parole e si ingigantisce quando diventano azioni.
Il karma dipende anche dall’oggetto con cui ci mettiamo in relazione sia in senso positivo che negativo. Scrive Nichiren Daishonin: «Se qualcuno percuote l’aria con un pugno non si fa male, ma se colpisce una roccia si fa male… la gravità di un peccato dipende da chi viene offeso» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 4, p. 106).
Da questo punto di vista calunniare la Legge è considerata la causa più negativa che esista, e lodare la Legge la causa più positiva. L’atteggiamento verso la Legge forma dunque un karma completamente differente da quello creato nelle azioni della vita quotidiana.
Si parla anche di causa karmica, tendenza karmica e relazione karmica.
La causa karmica è il karma vero e proprio. Come abbiamo detto, ogni persona è erede del proprio karma, crea il proprio destino in ogni momento, che lo voglia oppure no. Una volta piantato il seme, o causa, l’effetto rimane impresso nella nostra vita come energia latente, come una forza pronta a esplodere appena si presenta l’occasione giusta. Perché si manifesti un effetto sono necessarie due condizioni: la causa interna e l’occasione esterna. Se manca l’una o l’altra non si può manifestare nessun effetto. Tutti possono ottenere l’Illuminazione perché ognuno ha in sé il seme della Buddità. Incontrare la pratica buddista è l’occasione esterna per manifestare la parte illuminata già presente nella profondità della nostra vita.
La tendenza karmica è quell’attitudine che si presenta nella nostra vita in seguito alla ripetizione costante di determinate azioni. Assomiglia a una forza che trascina. È una strada facile da imboccare perché mille volte battuta.
La relazione karmica è un legame più o meno profondo che abbiamo con cose o persone. Anche se più in generale c’è una relazione profondissima tra ogni individuo e il resto dell’universo. «La vita in ogni istante abbraccia sia il corpo che lo spirito, sia l’io e l’ambiente di tutti gli esseri senzienti in ognuno dei dieci mondi e dei tremila mondi come pure gli esseri insenzienti» (ibidem, p. 3).

Come si cambia
Scrive Nichiren Daishonin: «Mentre il saggio osservava i principi e assegnava i nomi a tutte le cose, percepì l’esistenza di una legge meravigliosa (myoho) dotata simultaneamente di causa ed effetto (renge) e la chiamò Myoho-renge. Questa Legge di Myoho-renge comprende in sé tutti i fenomeni dei dieci mondi e dei tremila regni, nessuno escluso. Chiunque pratichi questa Legge otterrà simultaneamente sia la causa che l’effetto della Buddità»(ibidem, vol. 9, pp. 11-12).
Il grande maestro T’ien-t’ai nel trattato sul Sutra del Loto scrive: «Qui il termine renge non è un simbolo, è l’insegnamento del Sutra del Loto. Tale insegnamento è puro e incorrotto e spiega minutamente la Legge di causa ed effetto. Perciò gli è stato dato il nome di renge o fiore di loto. Questo nome designa l’entità percepita nella meditazione sul Sutra del Loto, non è una metafora» (ibidem, p. 11).
La simbologia del loto ci rimanda al problema della trasformazione del karma.
Se, come abbiamo detto, gli altri sono uno specchio della causa karmica che esiste dentro di noi, cambiando questa causa l’ambiente in cui viviamo cambierà nella stessa misura.
È importante sottolineare che il cambiamento non è determinato dalla paura della punizione o dall’attesa di un premio. Il cambiamento invisibile che avviene dentro di noi e che porta a cambiamenti visibili nella nostra vita è solo quello che nasce da un’automotivazione, per decisione personale.
Se cambio per paura di una punizione, ad esempio, otterrò un effetto conseguente a quella paura; bisogna sempre ricordare che è l’intenzione o ichinen a plasmare il futuro, non l’apparenza.
Per comprendere fino in fondo la teoria del karma è necessario evitare le separazioni: comprendere che la mente non è separata dal corpo, l’io non è separato dall’altro, l’individuo non è separato dall’ambiente, la vita non è separata dalla morte, il presente non è separato dal futuro, noi stessi non siamo separati da noi stessi.
Il karma è ad ogni modo una forza profonda e difficile tra trasformare. Per vincere questa forza oscura che ci sottrae libertà e gioia sono necessarie una forte fede e una forte determinazione. Innanzitutto è importante verificare che la nostra mente sia rivolta verso il futuro. Se guardiamo al passato pieni di rimpianto o se viviamo alla giornata, senza avere un progetto, un sogno, qualcosa che ci spinga a migliorare e a porci tante domande su noi stessi e sulla vita, non faremo nessun progresso. La nostra esistenza sarà statica o retrocederà.
Nella vita quotidiana è importante mantenere sempre uno stesso ciclo: stabilire uno scopo, pregare con sincerità, sforzarsi al massimo per trovare un modo di realizzarlo (vale a dire agire) e ottenere un effetto (cioè realizzare l’obiettivo).
Non è sufficiente decidere una volta, è necessario mantenere questa decisione costante nel tempo. Ribadire con noi stessi la nostra decisione ogni volta che ci scoraggiamo, ci distraiamo o ci troviamo di fronte a un ostacolo sul nostro cammino che sembra troppo faticoso superare.
Mantenendo questo ciclo si accumulano esperienze che rafforzano la nostra fede. Ci fanno sentire che ciò che il Buddismo insegna corrisponde davvero al funzionamento della vita.
Preparare una grande determinazione è fondamentale ma non è però sufficiente. Nichiren Daishonin afferma: «Usa la strategia del Sutra del Loto prima di ogni altra» (ibidem, vol. 4, p. 195). Il che significa che dopo avere preso una decisione dobbiamo continuare a recitare Nam-myoho-renge-kyo. In questo modo saremo in grado di:
- manifestare la saggezza del Budda, che è superiore alla nostra saggezza di comuni mortali e ci permetterà di trovare la soluzione più appropriata;
- avere più forza vitale e intraprendere quindi l’azione migliore;
- rendere l’ambiente favorevole al nostro sviluppo.
Mantenendo questo tipo di determinazione e di pratica, come scrive Daisaku Ikeda nella Rivoluzione umana «l’impossibile si trasforma in possibile».